"Ho sconfitto il Covid con l’ottimismo. Non abbiate vergogna a chiedere aiuto"

Don Engels e la terapia intensiva: "Mi concentravo sul respiro e pregavo. Oggi chi è in difficoltà non si rivolge alla chiesa per imbarazzo"

Don Guido Engels

Don Guido Engels

Empoli, 23 gennaio 2021 - In 72 anni è stata la sua prima volta in ospedale da ricoverato. "È una caratteristica di famiglia: mia nonna ha fatto la prima puntura a 85 anni". C’è voluto il Covid per ‘costringere’ don Guido Engels, proposto di Empoli, a un periodo di degenza al San Giuseppe. "Dopo essere risultato positivo al virus sono stato una settimana a casa, ma visto che la respirazione non migliorava i medici hanno valutato che il ricovero sarebbe stata la soluzione migliore. In effetti, le cure ricevute in ospedale mi hanno fatto tornare in forma". La sua battaglia è durata oltre tre settimane, dal 17 novembre al 9 dicembre. Cinque giorni li ha trascorsi in terapia intensiva. Oggi don Engels sta bene, ma a preoccuparlo sono le conseguenze che il virus sta avendo sulla comunità empolese.

È stata dura la sua esperienza con il Covid? "L’ho vissuta con ottimismo. Anche quando mi hanno detto che sarei dovuto andare in terapia intensiva non ho avuto timore. Erano cure che dovevo fare e le ho affrontate con la consapevolezza che tutto sarebbe potuto accadere. La terapia con il casco non è stata particolarmente difficile: mi concentravo sul ritmo del mio respiro. Dicevo il rosario e altre preghiere". Le giornate in reparto come le trascorreva? "Rispondevo alle telefonate e ai tanti messaggi che mi arrivavano, e leggevo molto. Mi sono dedicato a letture più impegnative come quella sulla vita del profeta Geremia, ma anche a cose più leggere come alcuni brevi racconti sul Natale di scrittori spagnoli, uno dei quali mi ha ispirato anche una omelia". Tornato alla ‘base’ ha ripreso subito a lavorare. C’era tanto da fare anche in vista del Natale? "Mi avevano consigliato 15 giorni di convalescenza, ma me ne sono bastati dieci. La notte di Natale ho celebrato messa e poi c’erano tante cose da fare e nuove difficili situazioni, causate da questo virus, alle quali far fronte". Quali? "Famiglie che hanno visto ridurre drasticamente le entrate a causa della perdita del lavoro, o perché titolari di un’attività che ancora non può essere riaperta. Situazioni diverse, ma tutte con un presente e un futuro molto incerti. Siamo noi ad aver avvicinato queste persone dopo aver ricevuto segnalazioni da parte di amici o parenti. Loro esitavano, si vergognavano. Abbiamo bussato alla porta per tendere una mano. Grazie alle sovvenzioni stanziate dai vescovi italiani per contribuire alle conseguenze economiche e sociali provocate dal Covid stiamo già aiutando sei/sette famiglie". Come vede la comunità empolese? "Da una parte c’è tanta paura nelle persone per la circolazione del virus, dall’altra è forte il desiderio di uscire, riprendere le relazioni. In Italia, a mio avvio, c’è un forte bombardamento di notizie sul Covid e ogni giorno vengono aggiornati i dati sui contagi e decessi. Dalle altre parti del mondo se ne parla meno. Ci vorrebbe una via di mezzo". Quale bussola dovremmo seguire? "Continuiamo a mantenere per quanto possibile delle relazioni, perché se l’isolamento da una parte permette di arginare il contagio, dall’altra crea problemi a livello psicologico. Penso soprattutto alle giovani generazioni che si stanno abituando a vivere distanti". Sul vaccino che idea si è fatto? "Sono ottimista, del resto è l’unica arma che abbiamo". Un messaggio per il 2021? "Non abbandoniamo la speranza. Mi auguro che tutta questa situazione serva a ognuno di noi per rivedere la propria vita. Sarebbe un errore dire ‘non vedo l’ora che finisca tutto per riprendere la vita di prima’. La riflessione che dovremmo fare è ‘cosa ho imparato?’, e da qui riallacciare i rapporti con gli altri".