PAOLO LORA LAMIA
Cronaca

"La serie D? Meglio l'America con studio e pallone". La scossa di Carradori

Cresciuto nell’Empoli, il terzino classe ’98 è ripartito dagli Usa dando la svolta ad una carriera che sembrava ad un punto di non ritorno.

Lapo Carradori, cresciuto nel Tavola, formato nell'Empoli, ora negli States

Firenze, 9 marzo 2020 - Mai mollare, neanche quando tutto sembra perduto. Neanche quando le ali con cui fantasticavi fin da bambino dietro ad un pallone vengono tarpate. L’occasione buona è sempre dietro l’angolo e, con pazienza e dedizione, i risultati prima o poi arrivano. Possono essere riassunti così i primi anni di carriera di Lapo Carradori, talento cresciuto nelle giovanili dell’Empoli. Il terzino classe ’98 ha vissuto stagioni da montagne russe: dall’assaggio della prima squadra alla mancata conferma da parte dell’Empoli. Un tunnel a cui Carradori ha posto fine sfruttando l’opportunità offerta da YesWeCollege, realtà che consente a dei ragazzi – tramite opportune selezioni – di andare a giocare in college americani come studenti-atleti. Una nuova pagina che il ragazzo nato nella provincia di Prato sta vivendo con entusiasmo e voglia di riscatto.

Lapo, la tua carriera parte dal Tavola per proseguire ad Empoli. Che emozione fu la chiamata di un club importante come quello azzurro?

“Entrai nel vivaio dell’Empoli a 9 anni, facendo la trafila fino alla Primavera. Ho nel curriculum anche una panchina in Serie A, a Bergamo contro l’Atalanta. Sicuramente ricevere la chiamata dell’Empoli è stata una bella emozione, anche se poi il mio percorso in azzurro non si è concluso come avrei voluto”.

Quello empolese viene considerato all’unanimità come uno dei migliori settori giovanili italiani. Puoi rivelare qualche segreto che rende il vivaio dell’Empoli così speciale?

“Certamente i giovani sono molto seguiti negli allenamenti. La mia annata, ovvero i classe ‘98/’99, era composta per intero da ragazzi presi dall’Empoli all’età di 8/9 anni. Dato che, per i talenti di 15/16 anni, solitamente sono le squadre più importanti a prevalere nelle trattative, l’Empoli ha sempre cercato di anticipare i tempi puntando su certi ragazzi fin da giovanissimi. So che negli ultimi anni le cose non sono andate così bene, ma resta comunque un vivaio importante”.

Tanti anni ad Empoli, nel corso dei quali diventi un elemento di spicco del vivaio. Quali sono state le tue maggiori soddisfazioni e quali invece le delusioni più cocenti?

“La più grande soddisfazione non può che essere la prima panchina in Serie A, che ho citato. In cima alle delusioni, la sconfitta nella finale scudetto Allievi Nazionali contro la Roma. Vincevamo 1-0, poi abbiamo subito il pareggio poco prima del fischio finale e perso definitivamente ai supplementari. Non da meno la sconfitta ai rigori contro il Sassuolo, nella finale del Torneo di Viareggio”.

Nel 2017 l’Empoli non ti conferma e riparti dalla Serie D, firmando per il San Donato Tavarnelle. 

“Innanzitutto, non mi aspettavo la mancata conferma. Venivo da tre anni in Primavera, ma una serie di circostanze hanno portato allo svincolo e poi a giocare in Serie D. Sicuramente c’è una differenza enorme a livello di strutture tra questa categoria e il Campionato Primavera. Inoltre, le partite sono molto fisiche e contro avversari decisamente più esperti di te”.

Pensi che per un giovane sia meglio fare panchina in un club di Serie A o B oppure scendere in D per giocare con continuità?

“Dipende dal contesto in cui vai a giocare. Andare in una piazza importante di Serie D che lotta per la promozione è un’esperienza interessante mentre, se l’alternativa alla panchina è una realtà senza grossi obiettivi, io preferisco giocare poco in un club di A o di B”.

Anche al San Donato non vieni confermato. A quel punto pensavi che la tua carriera fosse già sul viale del tramonto?

“Certamente non avevo più l’entusiasmo di prima, ma questo sentimento l’avevo già maturato nel corso della stagione con il San Donato. Ho deciso di fermarmi un anno perché non volevo più giocare in Serie D e ho colto al volo la possibilità offerta da YesWeCollege, cioè di andare a giocare e a studiare in America”.

Cosa ti ha spinto a provare quest’esperienza, di andare a giocare dall’altra parte del mondo?

“Sicuramente l’aspetto calcistico, ma non è da sottovalutare anche quello scolastico. Ho la possibilità di prendere una laurea in un’università americana, migliorando il mio livello di inglese e avendo altri sbocchi professionali oltre a quello legato al calcio”.

Da un anno frequenti il Barton Community College. Quali sono le tue sensazioni, sia con gli occhi del calciatore che dello studente?

“Ogni mattina ci alziamo presto e abbiamo l’allenamento, per poi fare vita da studenti. I primi sei mesi li ho dedicati al miglioramento della lingua inglese, dato che non avevo un livello adeguato. Successivamente ho optato per i “liberal studies”: una sorta di indirizzo che in Italia non c’è e che ti dà una base a livello generale. Parlando dell’aspetto calcistico, c’è un campionato tra college formato da varie divisioni. Noi eravamo in quella del Kansas, che ci ha visto primeggiare. Successivamente ci sono i play off e poi le fasi finali. Noi abbiamo vinto la prima partita dei play off, ma il nostro allenatore non si è accorto di aver schierato un giocatore “dotato” di cinque cartellini gialli. La squadra avversaria ha fatto ricorso e siamo stati squalificati”.

Cosa vedi prevalere nel tuo futuro, tra il rettangolo verde e la carriera universitaria?

“Non ho certezze per quanto riguarda il mio futuro, ma sicuramente ho la mente aperta. Qualunque sia la possibilità che si concretizzerà davanti a me, la coglierò con grande entusiasmo”.

Quale consiglio daresti ai ragazzi appena usciti dalle giovanili, che faticano ad emergere e a giocare?

“Sicuramente, quando le tue aspettative cozzano con la realtà, è una grande delusione. Devi trovare nuovi stimoli e andare avanti per la tua strada. Se questo è il tuo sogno, non devi mai smettere di crederci”.