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Prevenzione ictus, bambini in campo: "Salvare i nonni: questione di attimi"

di Elettra Gullè FIRENZE "Soprattutto in Italia, i nonni sono una presenza fondamentale: quando sono in gamba, nessuna baby-sitter può sostituirli....

L’Asl Toscana centro lancia un appello alle scuole

L’Asl Toscana centro lancia un appello alle scuole

di Elettra Gullè

FIRENZE

"Soprattutto in Italia, i nonni sono una presenza fondamentale: quando sono in gamba, nessuna baby-sitter può sostituirli. E se un bambino sa riconoscere i segnali di un ictus, può salvare una vita". Angela Konze, direttrice della Neuroradiologia della Asl Toscana centro e radiologa a Santa Maria Nuova, a Firenze, partecipa in prima persona al progetto scolastico: "Una volta, durante le simulazioni in aula, mi ero sdraiata a terra fingendo un ictus e una bambina chiamò il 112 dicendo: ‘Venite subito, mia nonna è diventata tutta molliccia’. Descrizione perfetta".

Si usa il gioco per veicolare messaggi importanti.

"Sì. E non è un caso che ci si rivolga ai bimbi della primaria, perché sono i più ricettivi. Loro tornano a casa e raccontano con entusiasmo quello che hanno fatto in classe. Dalla secondaria di primo grado questo non avviene più, invece. I bimbi delle primarie invece sono curiosi, attenti e, soprattutto, vivono a stretto contatto con i nonni".

Quali sono i segnali a cui bisogna prestare attenzione?

"Ci affidiamo al metodo Fast, che insegniamo anche ai bambini. La F sta per face, il volto: se è storto o asimmetrico, è un segnale. La A per arm: c’è debolezza o paralisi in un braccio o in una gamba? La S per speech, il linguaggio: la persona parla in modo confuso o non riesce a parlare? E infine la T: time, il tempo. Bisogna chiamare subito il 112. L’ictus va riconosciuto subito. Se si interviene in tempo, possiamo salvare una vita".

Come si sviluppa il progetto Fast Heroes?

"Si articola in cinque lezioni. Nella prima insegniamo il numero magico, il 112. Poi presentiamo la nostra ’missione’, spieghiamo chi siamo, cosa facciamo e che abbiamo bisogno di loro, dei bambini. Perché solo una squadra unita può vincere. Al comprensivo Vespucci tutti gli alunni hanno aderito. Qualcuno all’inizio ha detto che aveva paura, perché pensava all’ictus come a qualcosa di terribile. E lo è, certo. Ma sapere cosa fare può cambiare tutto. Ecco perché è importante imparare subito a riconoscere i campanelli d’allarme".

Quali i numeri toscani?

"Ogni anno circa 9.000 casi. E la mortalità intraospedaliera è di circa il 10%. Purtroppo l’ictus è una malattia silenziosa: non provoca dolore come l’infarto, per questo alcune persone prendono tempo, convinte che passerà. E magari si presentano in ospedale ventiquattro ore dopo. Ma rischia di essere troppo tardi".

Quali sono le conseguenze più gravi di un ictus?

"Chi sopravvive a un infarto può tornare a una vita normale. Chi sopravvive a un ictus, spesso no. Può non riuscire più a parlare, a camminare, a vivere in autonomia. In un attimo, cambia tutto. E non solo per il paziente, ma per tutta la famiglia. È per questo che la prevenzione è essenziale. Molti cinquantenni, ad esempio, non sanno nemmeno di avere la pressione alta. Ci sono tanti fattori di rischio: il diabete, la sedentarietà, il colesterolo alto, il fumo, l’alcol".

È vero che oggi anche i giovani sono più a rischio?

"Sì, purtroppo. La fascia più colpita resta quella sopra i 70 anni, ma vediamo sempre più casi anche tra quarantenni. Stile di vita sedentario, alimentazione scorretta, pressione alta: i numeri sono in crescita. Anche per questo è importante cominciare dalle scuole. Conoscere i segnali, sapere come comportarsi, può salvare vite. Il nostro messaggio è semplice: agire subito, senza perdere tempo".