Le mani della 'ndrangheta sulla Toscana. La cricca dei veleni tentò di fermare l’Arpat

Nelle intercettazioni i timori di perdere gli interlocutori abituali e di passare nella competenza di tecnici e funzionari non condizionabili. Il disappunto della sindaca di Santa Croce e del presidente dei conciatori. E la decisione di chiedere aiuto al capo di gabinetto Gori

Smaltimento rifiuti

Smaltimento rifiuti

Firenze, 26 aprile 2021 -  Nel febbraio del 2019, tra i conciatori si diffonde una voce: la politica “fiorentina” chiuderà l’Arpat di San Romano, sede distaccata dell’ufficio di Pisa dell’ente regionale deputato ai controlli ambientali e competente per il territorio di Santa Croce. Ad oggi, non risulta nessuna soppressione di tale ufficio, ma per il gip Antonella Zatini, che ha firmato l’ordinanza con cui i vertici dell’associazione conciatori e del consorzio Aquarno sono finiti agli arresti domiciliari, la vicenda è “emblematica” dei tentativi degli indagati di intervenire e interferire sulle scelte del ‘governo’ e sui ruoli a loro funzionali. Secondo le accuse dei pm della dda di Firenze, Giulio Monferini ed Eligio Paolini, la retromarcia di Arpat sulla riorganizzazione potrebbe essere stata dettata proprio dall’azione di Ledo Gori, capogabinetto del governatore dell’epoca, Enrico Rossi, rimasto in carica fino a pochi giorni fa anche con l’avvento di Eugenio Giani.  

A ricevere una ‘soffiata’ da un amico geometra di Fucecchio sulla possibile chiusura dell’ufficio di San Romano, è Alessandro Francioni, presidente dell’associazione conciatori e in quel momento uno dei bersagli delle intercettazioni dei carabinieri Forestali e del Noe. Francioni come prima cosa contatta subito la sindaca di Santa Croce Giulia Deidda, dicendole che, la sua ‘fonte’, gli aveva riferito che "era una decisione già presa ma destinata ad attuarsi dopo le elezioni". Deidda non ne sa nulla, ipotizza che sarebbe stata una decisione "presa al di sopra dei sindaci" e che "avrebbe fatto casino anche lei". Nella conversazione, ipotizzano anche cosa sarebbe potuto succedere in caso di riorganizzazione: "Se il comprensorio lo mettevano a cuocere a Empoli", dice Francioni, la Balocchi – per gli inquirenti la funzionaria Arpat di Empoli – avrebbe fatto loro "un c... come una cesta". La novità, dicono ancora i due nella conversazione, avrebbe inoltre guastato un "momento in cui loro non avevano nessun problema" e in cui i funzionari "non avevano creato nessun casino". Per la procura, inoltre, i controlli di San Romano avvenivano sempre con preavviso. La sindaca di Santa Croce conclude la telefonata manifestando l’intenzione "di mandare subito un messaggio a Ledo".  

Tra gli atti contrari ai doveri d’ufficio, contestati all’ex capogabinetto Gori, c’è la sua presunta attività di condizionamento del direttore generale di Arpat, Marcello Mossa Verre, in carico dal marzo del 2017. Gori gli avrebbe "lasciato intendere che tale riorganizzazione non doveva essere fatta", lo avrebbe "lasciato nel timore per diversi mesi di subire un procedimento disciplinare" e di essere "rimosso dall’incarico".  

La questione Arpat in effetti arriva a Gori. I carabinieri intercettano la chiamata che il dirigente dell’ambiente, Edo Bernini (indagato per abuso d’ufficio) fa nei giorni successivi al braccio destro di Rossi. Bernini riferisce che i conciatori gli avevano rappresentato le loro preoccupazioni riguardo ad alcuni nomi di dirigenti che "sarebbero dovuti andare lì". Per Bernini, "sarebbe stato utile fare una chiacchierata" anche se lui "non sarebbe voluto intervenire affinché tizio andasse o non anda sse lì o là perché c’aveva un trascorso là". Gori conveniva che "sarebbe stato meglio parlare subito con Mossaverre".  

Stefano Brogioni