Frane in Toscana, rischio elevato. L'Autorità di bacino: "La causa? Regole disattese"

Il segretario generale Checcucci lancia l’allarme: le zone pericolose "molto popolate". Allagamenti, i soldi stanziati durante la programmazione non si sono tradotti in opere

Le zone in Toscana e Liguria a rischio frane, la mappa

Le zone in Toscana e Liguria a rischio frane, la mappa

Firenze, 29 novembre 2022 - Il 16,24% del territorio in Toscana presenta un rischio frane elevato o molto elevato. In Liguria, invece, la percentuale è del 12,73%. I dati arrivano dall’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino settentrionale, ente controllato dal ministero dell’Ambiente che si occupa di predisporre le mappe di pericolosità da alluvioni e frane, nonché di pianificare gli interventi che servono per mitigare il rischio. A guidarlo, da ottobre, è il segretario generale Gaia Checcucci.

Le zone in Toscana e Liguria a rischio frane, la mappa
Le zone in Toscana e Liguria a rischio frane, la mappa

Checcucci, i recenti fatti di cronaca hanno riacceso l’attenzione sulla fragilità del territorio. Qual è la situazione in Toscana e Liguria?

"Toscana e Liguria sono due tra le regioni più franose d’Italia. In Toscana il 12,49% del territorio (2.872 chilometri quadrati) è in classe P3, ovvero quell’area che potenzialmente è instabile per fattori fisici o propensione al dissesto. Il 3,75% è addirittura in P4, ovvero ha dissesti attivi, per un totale di 863 Kmq. In Liguria, invece, è in P3 l’11,4% del territorio (617 Kmq) e in P4 l’1,33% (72 Kmq). Come Autorità di Bacino ci occupiamo anche di una piccola porzione di Umbria e in questo caso registriamo 2 Kmq in P3, pari allo 0,02%".

Un quadro non troppo tranquillizzante…

"Sicuramente non da sottovalutare. A maggior ragione perché nelle aree P3 spesso troviamo territori densamente abitati. È evidente che non possiamo delocalizzare interi paesi o aree industriali: in questi casi occorre piuttosto saper gestire il rischio. È però indispensabile tornare a investire e mettere al centro dell’azione di governo la prevenzione, che è stata negli anni trascurata. Poi occorrono azioni concrete".

Cos’è che non funziona?

"Dal punto di vista normativo non manca niente. Manca, però, il rispetto di tali norme. In primis dagli enti territoriali, le Regioni, e a catena dagli enti locali; manca poi un’incisiva politica di governo che privilegi la serietà agli slogan e che valorizzi gli strumenti di pianificazione e successiva programmazione delle risorse. Gli interventi devono essere prioritari, e quindi finanziati, solo se l’Autorità di distretto che ha la conoscenza del territorio viene sentita prima. Le nostre mappe e le nostre norme non vengono sempre tenute presenti da chi deve poi attuare nel concreto le opere o fare i regolamenti di dettaglio in materia urbanistica/edilizia". Veniamo al rischio allagamenti.

"Nel bacino dell’Arno il 5,9% delle aree (536,5 Kmq) è in P3, a pericolosità elevata; in quello del Serchio il 10% (162,3 Kmq), nel Magra il 3,8% (64,4 Kmq). Ci sono poi altri 656,1 Kmq di altri bacini toscani a rischio e 48,2 Kmq in Liguria".

Con le opere a che punto siamo?

"A livello nazionale gli interventi stentano. Ci sono le risorse ma non c’è l’accelerazione sperata. Inutile difendere l’indifendibile. Di soldi della precedente programmazione (2014/2020) trasformati in opere in corso ce ne sono pochi, non credo più del 15-20%".

E a livello toscano?

"Anche qui molte opere sono in ritardo, alcune importantissime. Penso alla diga di Levane che lasciai in progettazione nel 2015 e che ho ritrovato in progettazione. Nel frattempo i soldi per realizzarla sono stati usati per altre opere: magari importanti anch’esse, ma non credo come lo è la diga e le casse di Figline per Firenze. Restone e Pizziconi funzionano se c’è l’opera di presa, che ancora non c’è. Prulli e Leccio devono ancora essere avviate".

A cosa si devono questi ritardi?

"Credo che l’attuale organizzazione, che vede i presidenti di Regione esercitare il ruolo di Commissari di governo non funzioni, seppur abbiano a disposizione tutti gli strumenti in deroga alla normativa".

Soluzioni?

"A mio modo di vedere, pur restando Commissari, dovrebbero avvalersi di un soggetto a cui delegare l’attività nel concreto e di una struttura commissariale vera. Anche perché altrimenti non si distingue bene l’attività ordinaria e quella di interesse nazionale. Ecco perché, c’è bisogno di valorizzare il ruolo di prevenzione delle Autorità di bacino distrettuali, che devono poter dare la propria valutazione preventiva sugli interventi che si vogliono realizzare, da qualunque fonte di finanziamento provengano. Ne va dell’interesse pubblico e dell’assunzione di responsabilità, ognuno per la propria parte".