di Olga Mugnaini
FIRENZE
Varcato il cortile di Palazzo Medici Riccardi ad accogliere il pubblico è la statua scolpita da Baccio Bandinelli nel 1519, che raffigura Orfeo che con la sua musica incanta Cerbero, il terribile cane a tre teste a guardia degli Inferi. A commissionare la scultura fu Papa Leone X, figlio di Lorenzo il Magnifico, per quella che era la dimora della sua famiglia. Ed è proprio Palazzo Medici Riccardi a ospitare la mostra "L’incanto di Orfeo", un grande viaggio dalle origini del mito fino ai giorni nostri, attraverso una sessantina di fra dipinti e sculture, disegni e manoscritti, installazioni e film, a cura di Sergio Risaliti e Valentina Zucchi, nata da un progetto del direttore del Museo Novecento, promossa da Città Metropolitana e organizzata da Mus.e, che dal 20 marzo proseguirà fino all’8 settembre. Per l’occasione è arrivato dal Museo Archeologico di Napoli anche il rilievo marmoreo neoattico con Orfeo, Euridice ed Hermes, che raffigura il secondo e definitivo distacco del cantore dalla sua amata. E poi opere di Tiziano, Parmigianino, van Honthorst, Bruegel il Vecchio, Rembrandt, Delacroix, Moreau, Redon, Feuerbach, De Chirico, Cocteau, Savinio, Melotti, Twombly e Paladino, provenienti da istituzioni culturali italiane e internazionali.
"Orfeo è stato soggetto privilegiato dell’arte e della cultura fiorentina a fianco delle figure di Ercole, David e Giuditta - spiega Sergio Risaliti - Era presente già nel Trecento in una delle formelle del Campanile di Giotto ed ebbe un posto di rilievo nello studio e nell’interpretazione della classicità in età rinascimentale, con sottolineature letterarie, filosofiche e politiche. Un interesse che si sviluppò proprio intorno a Cosimo il Vecchio e a Lorenzo il Magnifico, grazie agli artisti, ai letterati, ai pensatori e ai poeti vicini ai Medici". E’ nel contesto dell’Accademia neoplatonica di Marsilio Ficino, di Pico della Mirandola e Agnolo Poliziano che si studia e si diffonde il mito di Orfeo. Come dimostra la Fabula di Orpheo del Poliziano, stretto amico del Magnifico e traduttore in latino anche delle Argonautiche orfiche, presente in mostra grazie a un prezioso esemplare della Biblioteca Riccardiana. "Perfino Cosimo I de’ Medici non sfuggì al fascino di Orfeo - prosegue Risaliti - e volle farsi ritrarre dal Bronzino nelle vesti del poeta tracio, che si era addentrato nel regno delle tenebre per cantare davanti a Ade e Persefone, con la preghiera di riportare in vita la sua sposa Euridice uccisa dal morso di un serpente. Per riperderla poi definitivamente sulla soglia della luce, non avendo resistito a rivolgerle lo sguardo".
"Le apparizioni di Orfeo sono emblema del potere delle arti ma anche simbolo di debolezze, desideri e follie tutte umane, proseguite nei secoli - afferma Valentina Zucchi -. Le vicende di Orfeo incarnano in effetti i passaggi fondanti della vita. Egli non muore definitivamente dilaniato e decapitato dalle Baccanti, rifiutate dopo la morte di Euridice. Il suo mito attraversa il tempo, protagonista nella musica di Monteverdi e nelle allegorie dipinte barocche, poi nel Settecento e nel Romanticismo". "Ne resteranno affascinati artisti come Giorgio De Chirico e Alberto Savinio, Fausto Melotti ed Ettore Colla, le cui opere sono esposte in mostra - conclude Risaliti -, ma anche poeti come Rilke e Dino Campana, a testimoniare le molteplici rinascite di Orfeo e dell’Orfismo. Poi Calvino, Pavese, Bufalino si sono cimentati con la sua storia, mentre un cantautore di oggi, Roberto Vecchioni, sembra volerci ricordare che: "ogni volta sempre è Orfeo quando c’è canto".