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Premio Pieve Saverio Tutino: otto finalisti

Il vincitore sarà nominato nella serata finale della manifestazione condotta da Guido Barbieri e Monica D’Onofrio

I finalisti

I finalisti

Arezzo, 4 agosto 2025 –  L’Archivio Diaristico Nazionale annuncia gli otto finalisti in concorso al 41° Premio Pieve Saverio Tutino 1945-2025 Il ritorno della memoria dal 18 al 21 settembre a Pieve Santo Stefano.

Il vincitore sarà nominato nella serata finale della manifestazione condotta da Guido Barbieri e Monica D’Onofrio.

Fitte corrispondenze, memorie, diari, scritti tra il 1917 e il 2021, ci tramandano i ricordi degli autori assieme ai loro progetti per il futuro, richieste di aiuto, lettere d’amore. Originari di Veneto, Campania, Emilia Romagna, Sicilia, Lazio, Toscana, Marche, gli autori dei testi in concorso delineano una geografia ben più ampia dei confini di origine raggiungendo gli Stati Uniti, l’Africa, diversi paesi dell’Europa orientale.

1917, Ricciardo Vaghetti è un soldato di stanza a Caporetto con il Reggimento Granatieri. Di Cascina, in provincia di Pisa, Ricciardo ha vent’anni quando partecipa alle azioni intraprese dal suo reggimento per scongiurare la disfatta. Seguono inevitabili la cattura, la fame, il freddo durante una prigionia umiliante nell’Impero di Guglielmo II.

Ricciardo sopravvive con la forza della disperazione ma anche grazie al suo acume; osserva con interesse il carattere dei suoi compagni di reclusione, soprattutto conserva la speranza che, davanti alla catastrofe mondiale, gli uomini dirigenti smettano di strappare giovani uomini alle loro famiglie.

Non è andata così se vent’anni dopo il denso epistolario di Vittorio Binotto e Bernardina Casarin è dovuto alla partenza di lui per il fronte. Giovani sposi della provincia di Padova, i due si cercano e si scrivono per accorciare quella distanza tra il Veneto e i fronti dove il duce manderà a combattere la Divisione Julia: l’Albania, la Grecia, infine la Russia.

Vittorio e Bernardina si confrontano sui tanti problemi quotidiani della loro giovane famiglia, parlano dei figli concepiti durante le poche licenze, dei progetti così difficili da realizzare in quella situazione di guerra, lontananza, povertà. Il conflitto li dividerà per sempre nel 1943: Vittorio viene dichiarato disperso, Bernardina saprà solo nel 1995 che in quell’anno il suo sposo è caduto in battaglia in terra sovietica.

Stessi anni, Seconda guerra, Tito Zampa e Arnaldo Manni sono entrambi nel Dodecaneso. Nel 1940, al seguito del reggimento di fanteria Regina, Tito sbarca nella colonia italiana di Kos dove fino all’armistizio trascorre una vita tranquilla, lavora come apprezzato falegname, si innamora. Quando l’8 settembre 1943 ribalta le alleanze politiche e militari, Tito viene catturato dai tedeschi e rinchiuso insieme a migliaia di commilitoni in un castello che appare come una fortezza inespugnabile.

Tenta una prima fuga rocambolesca a bordo di un canotto; fallisce; ritenta più volte e riesce nel 1944 quando, sfuggito ai tedeschi, si trova sotto tutela delle autorità inglesi. Dopo un pellegrinaggio stremante tra Egitto e Palestina, e oltre sei anni dalla partenza da casa, nel 1946 Tito riuscirà finalmente a ricongiungersi alla sua famiglia a Marzocca di Senigallia.

Arriva invece nell’isola di Rodi il 2 agosto 1943 il Tenente del Genio Arnaldo Manni, nato 27 anni prima a Castelfranco Emilia, piccolo centro a quel tempo ancora in provincia di Bologna. Arnaldo inizia il suo diario solo qualche giorno prima dell’arrivo nell’isola, nella necessità di confidare almeno alla pagina scritta il dolore per la partenza; poi di commentare il crollo dell’Italia fascista e il dramma delle truppe di stanza nel Mar Egeo, abbandonate a un destino tragico.

Fino alla scelta più difficile: con la Germania o con l’Italia di Badoglio, quindi tra la deportazione e la Repubblica sociale. Arnaldo si sentirà costretto a scegliere la RSI, tra mille dubbi e mille tormenti, fino alla sospirata libertà che finalmente arriva nel 1946.

Francesca Ingoglia nella sua memoria abbraccia un lungo intervallo temporale per raccontare l’odissea della sua famiglia, continuamente in viaggio tra Partanna, la terra d’origine nell’entroterra siciliano, e New York, a quel tempo terra di opportunità.

Francesca è fortemente legata alla Sicilia ma è una donna del nuovo secolo, aspira a una vita più agiata negli Stati Uniti come risarcimento dei tanti sacrifici lavorativi. Sposando Pietro, giovane insegnante conosciuto in Sicilia durante una vacanza, è certa di condividere con lui le stesse ambizioni ma dovrà ricredersi poiché il marito, dopo una iniziale trasferta a New York, sogna invece il ritorno a Partanna.

Sarà Milano, tappa finale dell'avventura di Francesca, il luogo della serenità dove riuscirà a mettere a frutto la conoscenza dell’inglese attraverso l’insegnamento.

È dell’immediato dopoguerra la vivacissima disputa epistolare tra Eduardo Renato Caianiello, dal 1948 negli Stati Uniti per una borsa di studio in Fisica, presto diventato scienziato di fama mondiale, e la moglie Carla Persico, letterata, insegnante, plurilaureata, rimasta a Napoli con la piccola figlia e le famiglie dei due coniugi.

Le prospettive di carriera negli Stati Uniti sono imparagonabili rispetto a quelle dell’Italia del dopoguerra ma Carla, pur comprensiva delle ambizioni del marito, non riesce a rinunciare ai legami familiari. Eduardo soffre la lontananza della famiglia ma si adatta con facilità allo stile di vita americano che descrive con acume e ironia. Sullo sfondo la preoccupazione di nuove guerre, in America per il conflitto in Corea del Nord, in Europa dove si teme l’espansione sovietica.

Medico chirurgo specializzata in ginecologia e ostetricia, Chiara Castellani si sente sé stessa solo in prima linea nell’aiuto dei bisognosi. In Nicaragua, in Ecuador, in diversi paesi africani, Chiara è impegnata in sala operatoria e parallelamente nella realizzazione di programmi di sviluppo sanitario.

Nel 1991 arriva in Zaire dove dirige un ospedale abbandonato dai belgi, ma manca l’acqua. Chiara non riesce a rimanere nell’attesa passiva che qualcosa cambi, avvia un progetto - portare l’acqua dal fiume all’ospedale sfruttando l'energia del fiume stesso - del quale parla con insistenza nelle tantissime lettere che invia a colleghi, parenti, amici e in particolare a suo padre Paolo e a Danilo Matievich, ingegnere navale e suo stretto collaboratore in Italia. In un paese vittima di una grave instabilità politica, Chiara rischia la sua stessa vita prima di vincere finalmente nel 2006 la sua battaglia.

L’autobiografia di Debora Pietrarelli è l’autoritratto di una ragazza che cresce e diventa donna tra molte difficoltà ma viene presa per mano dalla provvidenza. Dopo la perdita dei genitori, importanti punti di riferimento persi a distanza di qualche anno, Debora si ritrova isolata, sente vacillare il suo equilibrio emotivo.

A Roma, poi a Venezia, poi ancora a Roma, si arrangia per sopravvivere grazie alle chiese e alle associazioni che offrono ai senza tetto ospitalità e pasti. Familiarizza con altri ragazzi che vivono la sua condizione e si sente meno sola. Dopo cinque anni, un nuovo ricovero ospedaliero porterà Debora alla comunità riabilitativa Montesanto che contribuirà a restituirle nuova fiducia nella vita.