
di Salvatore Mannino
Una magia dentro la magia, il fascino dell’antiquariato, inteso in tutte le sue forme, piccole e grandi, racchiuso nel bozzolo della Città di Natale a sua volta incorniciato dalle antiche mura di un centro storico che ha pochi eguali, in Toscana, in Italia e non solo l’Italia. Di tutte le edizioni dei mercatini & C. (dove il C. sta per la ruota panoramica, il planetario e gli altri richiami pr i più piccoli) questa del primo weekend di dicembre è senz’altro la più ricca per il mix, difficile persino da descrivere con le sole parole, con la Fiera, la sineddoche che per gli aretini sta per Fiera Antiquaria, con l’aggettivo che si perde per strada perchè di Fiere ce ne è una sola, quella appunto inventata da Ivan Bruschi e poi dilagata a macchia d’olio in tutta la città antica. Quella anche cui abbiamo scelto di dedicare l’itinerario storico-turistico di questo speciale: una scoperta di inedito appeal per chi viene da fuori, un ripasso per gli aretini.
Inevitabile, dunque, cominciare da dove parte il percorso dell’Antiquaria, nella parte alta di via Guido Monaco, il boulevard ottocentesco che collega il centro storico alla stazione ferroviaria, testimonianza dell’ampiezza di vedute della classe dirigente post-risorgimentale. I banchi della Fiera, che è appunto una manifestazione all’aperto e ambulante, la più importante a cielo aperto che si svolga nella penisola, iniziano lì, oltre l’incrocio con via Garibaldi, in questo austero viale dominato dalla mole del palazzo delle Poste, inaugurato negli anni ’20 del ’900, su progetto (neoclassico con qualche licenza liberty) di Umberto Tavanti, uno di coloro che più hanno contribuito all’immagine attuale della città storica. Per chiunque voglia dedicarsi all’"arte" del regalo, uno dei must di dicembre, è una vera manna. Nelle postazioni degli espositori si può trovare di tutto e i mobili d’epoca sono solo una piccola parte del totale.
Ci sono dunque i presepi napoletani più o meno antichi, ci sono le statuine di qualsiasi prezzo, come in una San Gregorio Armeno minore, ci sono le palle per gli alberi di Natale, ci sono i giocattoli d’epoca per i bimbi curiosi di quanto appassionava i loro genitori e i loro nonni. Ma ci sono anche i gioielli, le porcellane (dal Limoges al Meissen), le argenterie, i libri (d’epoca, che possono costare un botto, o anche solo usati), le stampe (dal ritaglio di giornale fino ai preziosi Goya e Piranesi). Quasi un paradiso del dono delle feste.
Da via Guido Monaco l’itinerario di Fiera sale verso piazza San Francesco, dove gli fanno cornice lo storico Caffè dei Costanti ora chiuso e la basilica di San Francesco con gli affreschi di Piero della Francesca, via Cavour (la strada dei negozi d’antiquariato, con altre occasioni di regalo ma più care), la parte alta del Corso Italia, che da un lato si inerpica, per via dei Pileati, verso il Prato della ruota panoramica, e dall’altro (attraverso via Seteria e via Vasari) sbuca in piazza Grande, dove i banchi si mescolano con le baite del mercatino tirolese e dove la Fiera è nata il 2 giugno 1968, 53 anni fa. Doveva essere un modo per surrogare il mercato delle erbe trasferito altrove, è diventato la Portobello o il Mercato delle Pulci italiano.
Ps. A proposito di Ivan Bruschi: davanti alla Pieve c’è il Palazzetto del Capitano del Popolo, che del grande antiquario è diventata la Casa Museo. Anche quella è da non perdere.