
Una figura originale che impostava il suo impegno su studio, diligenza e amorevole fatica. Intrecciò una rete di amicizie con potenti prelati, letterati e artisti. Compreso Michelangelo.
Fornasari
Molti sono gli aspetti della molteplice attività vasariana che le manifestazioni organizzate per celebrare i 450 anni dalla morte hanno esaminato in questi mesi. Del resto Vasari, come scrive al riguardo l’amico Pietro Aretino, è “historico, poeta, philosopho e pittore”. Studio, diligenza e amorevole fatica sono i punti fermi messi in evidenza già nel 1956 da Paola Barocchi individuando in essi i principi su cui si fonda l’operato di Vasari e soprattutto la sua idea di arte, chiaramente espressa nelle scelte pittoriche della sua amata casa di Arezzo. Vasari virtuoso, Vasari erudito e Vasari lettore, oltre che scrittore raffinato, sono gli aspetti che prende in esame la mostra su Vasari. "Il teatro delle virtù" visibile fino al 2 febbraio alla Galleria di Arte Moderna e Contemporanea di piazza San Francesco, curata da Cristina Acidini e il coordinamento tecnico-scientifico di Alessandra Baroni. La mostra è in due sedi, la già citata Galleria e la chiesa di Sant’Ignazio, e divisa in otto sezioni. Come ricorda l’Acidini, con Vasari non fu vano il precetto di Leon Battista Alberti, che nel terzo libro del "De pictura", trattato scritto in latino e in volgare, rispettivamente nel 1434 e nel 1436, invitava i pittori a frequentare i letterati per divenire loro familiari, in modo tale che avrebbero così potuto insegnare “nuove invenzioni” e aiutare “a bello componere sua storia”, acquistando grande gloria.
Il trattato dell’Alberti fu editato in latino anche nel 1540 a Basilea e Vasari fu a stretto contatto con il traduttore, nonché massimo studioso delle opere dell’Alberti, Cosimo Bartoli, erudito fiorentino e ideatore in un primo momento del complesso programma iconografico che Vasari ha dipinto in Palazzo della Signoria. Alle teorie albertiane si connette anche la decorazione della sua amata casa di Arezzo, il cui programma iconografico si incentra sul tema dell’esaltazione della pratica della virtù per ottenere la fama.
La capacità di scrittura che Giorgio Vasari ha dimostrato di avere in crescendo nelle due edizioni delle Vite, quella del 1550 presso Lorenzo Torrentino, e quella del 1568 presso i Giunti, si è sviluppata a partire dalla prima formazione umanistica ricevuta in Arezzo grazie all’insegnante Giovanni Lappoli detto il Pollastra, arricchendosi negli anni successivi, grazie all’abilità avuta nel tessere rapporti importanti anche in tal senso con umanisti d’eccellenza, da Pietro Valeriano, a Paolo Giovio, ad Annibal Caro a Pietro Aretino, Benedetto Varchi e a don Vincenzio Borghini, Pierfrancesco Giambullari e molti altri.
Molte sono state le sue peregrinazioni e Firenze, Roma e Venezia sono i luoghi non solo di formazione, ma anche di affermazione di Vasari, uomo capace di avere una fitta rete di amicizie e di “policrome relazioni”, tra cardinali, vescovi, abati, banchieri, artisti, oltre che letterati, senza dimenticare il rapporto avuto con Michelangelo. Giorgio Vasari ha assimilato in fretta e fu l’ambiente romano, conosciuto quando ancora era giovane, ad accrescere - scrive Acidini nel catalogo edito da Mandragora - la sua capacità inventiva, diventando uno degli artefici più prolifici delle corti cinquecentesche. È cosa certa che Vasari in moltissime sue opere si sia lanciato in azzardi espressivi, riuscendo con grande abilità a risolvere problemi formali e iconografici molto complessi come nel caso dell’Immacolata Concezione, commissionata al nostro nel 1540 da Bindo Altoviti, ricco banchiere fiorentino, conosciuto mentre lavorava a Camaldoli.
Il dipinto, ora esposto ad Arezzo e destinato alla chiesa fiorentina dei Santi Apostoli, preoccupò notevolmente Vasari, poiché molto scottante era il tema da trattare. La soluzione da lui trovata, interpellando anche il Pollastra, ebbe un successo enorme. L’idea geniale di fare dominare la scena dalla Madonna, a cui piedi si attorciglia il diavolo dalle ambigue sembianze, Antico Serpente, che a sua volta intrecciato a due progenitori, non estranei da citazioni michelangiolesche, si avvinghia al tronco di un albero “calcandogli le corna la gloriosa Vergine vestita di sole e coronata da dodici stelle”.
Vasari è stato capace di maneggiare figurazioni aggiornate e di grande effetto sia nei soggetti religiosi, nei quali applica il linguaggio allegorico da lui prediletto, sia in quelli mitologici, codificando anche allegorie astruse, come in quella della Giustizia Farnese, eseguita nel 1543 dopo il successo avuto a Venezia con il soffitto di Casa Cornaro e oggi conservata nel Museo di Capodimonte. Nell’ambito farnesiano, dove maturò l ’idea delle Vite, Vasari ebbe relazione con umanisti d’eccellenza.