Valentino Shoes, dubbi sulla nuova fabbrica

Rogo di Levane: non sarebbe una priorità per l’azienda. Dopo l’incontro coi vertici, sindacati in ansia per il futuro dei 180 dipendenti

Migration

di Maria Rosa Di Termine

Escono allo scoperto le organizzazioni sindacali e confermano preoccupazione per la permanenza a Levane della Valentino Shoes Lab, la fabbrica di via Valiani nel polo produttivo di Bucine, distrutta da un incendio nella notte tra il 1° e il 2 aprile scorsi. Un domani al quale è legato il destino di 180 dipendenti. A lanciare il grido d’allarme, all’indomani dell’incontro con i vertici aziendali, sono i segretari provinciali della Filctem Cgil Gabriele Innocenti e della Femca Cisl David Scherillo che si esprimono all’unisono partendo da uno slogan sostanziale: "La Valentino non ‘faccia le scarpe’ al Valdarno".

Una frase che spunta da una constatazione dei rappresentanti dei lavoratori: l’azienda a tre mesi dal rogo "non ha uno straccio di piano industriale", puntualizzano, per rimanere nella valle. I referenti della proprietà "si sono semplicemente e superficialmente limitati a ribadire lo stato di precarietà, che nessuno nega, e che la Valentino Shoes Lab in Valdarno non è una priorità, ma un’ipotesi" al vaglio insieme ad altre.

Insomma, una situazione che fa suonare più di un campanello d’allarme in un territorio che, sin dalle ore successive al disastro causato dalle fiamme, si era mobilitato come comunità "mettendo in piedi una gara di solidarietà senza eguali per permettere ai 180 dipendenti di ritornare al lavoro prima possibile e di non interrompere la produzione". E gli esponenti del sindacato ricordano tra le tante attestazioni spontanee di affetto quella dei bambini che nel giorno della prima Comunione si erano radunati davanti alle macerie dell’impresa con aquiloni e colombe per dare un segnale di speranza. E, invece, adesso sembrano addensarsi nubi nere: "Sconcerta – proseguono – constatare la superficialità con cui trattano l’argomento i dirigenti nazionali dell’azienda; poco o nulla importa delle maestranze e di un distretto industriale della calzatura da donna riconosciuto per l’alta professionalità così come dell’intero indotto". Sottolineano di contro come la griffe abbia potuto usufruire fin dal suo arrivo nel comprensorio di un patrimonio fondamentale, personale già formato che ora rischia di essere disperso.

Non si tiene conto, è la reprimenda dei sindacalisti, neppure del sacrificio quotidiano dei lavoratori, "un terzo dei quali ogni giorno va a Capraia ‘dividendo’ lo stabilimento con gli operai di un altro sito del gruppo", mentre un terzo lavora in un capannone in affitto di Levane messo a disposizione da Prada e il resto è ospite di un fabbricato della Valentino. Innocenti e Scherillo ritengono inoltre che a dirigere la partita per la Valentino siano persone che "non considerano il settore, le sue problematiche e potenzialità; non conoscono il territorio e le opportunità che può offrire". Da qui la richiesta di ottenere garanzie certe sugli investimenti nella vallata perché non esistono ragioni per allontanarsi, ne per tergiversare.

"Qui – riprendono – abbiamo i terreni che i vari sindaci mettono a disposizione per costruire il nuovo; capannoni, purtroppo vuoti, che possono essere riempiti; le professionalità; aziende in grado di rispondere subito a esigenze produttive". Un’impasse che ha già prodotto un’ora di sciopero lo scorso 16 luglio e la decisione dei sindacati di chiedere una riunione alla proprietà e una convocazione da parte del Prefetto. Sullo sfondo il possibile inasprirsi dello scontro sindacale con nuove iniziative di lotta.