
Università Arezzo
Arezzo, 22 maggio 2021 - La «lezione» è finita e sembrano tutti andarsene in pace. L’Università, nel silenzio generale che ormai accompagna i grandi passi indietro della città, ha deciso cassare il dipartimento di scienze della formazione, scienze umane e della comunicazione interculturale. Anzi, con più delicatezza «disattivare». L’ultimo dipartimento rimasto, salvato esattamente dieci anni fa, nel luglio del 2011, da un’operazione che anche allora sembrava preludere al definitivo ridimensionamento dell’anima aretina dell’università di Siena.
Allora, dalla conta al battiquorum che venne fatta in quei giorni caldissimi, l’organico era risultato di 37 docenti. Due più di quelli necessari alla creazione del dipartimento. Stavolta siamo sotto, e sotto più del margine risicato che allora ci aveva salvato. E scatta la chiusura. Che in apparenza, beninteso, poco cambia se avete un figlio iscritto all’università: i corsi di laurea procedono come sempre.
Ma si apre un’altra breccia nell’autonomia dell’ala aretina dell’università senese. Una è quella che aveva portato alla fine della facoltà, sostituita con un dipartimento articolato. Ora un altro passo. Il nodo è quello gestionale, della ricerca, della programmazione: la cui sede sempre più si orienta verso Siena. Le scelte strategiche sono sempre state lì ma a lungo siamo riusciti a mantenere un’identità forte e capace di essere un interlocutore del polo senese sulle grandi scelte.
Fino a quando? E quando in pericolo diventeranno i corsi, chi ci salverà senza un rettore o un capo dipartimento a metterci la faccia? L’allarme parte per primo dai sindacati, in una nota congiunta della Cgil scuola aretina (guidata da Maurizio Tacconi) e di quella senese. «Siamo increduli» è il commento. «Arezzo perderebbe la possibilità di gestire, la programmazione didattica e di ricerca e si trasformerebbe in un complesso di aule dove seguire le lezioni e di uffici che erogano servizi».
La mossa è stata approvata dal consigli di dipartimento con 4 astensioni: il 25 marzo. Da allora il silenzio: allora e prima, essendo partito il dibattito interno dal 2020. L’ultimo capo dipartimento è Ferdinando Abbri, alla soglia della pensione. I docenti dovranno a loro volta scegliere altri dipartimenti nei quali figurare. E dalle indiscrezioni alcuni già avrebbero avviato l’operazione, non tutti ricevendo il sostegno dei nuovi consigli.
E pensare che i numeri sono trionfali: boom di immatricolazioni, l’estensione all’aggiornamemto degli insegnanti, potenzialità su più fronti, dalle lingue, all’economia alla formazione. Quindi per Siena un serbatoio di studenti preziosissimo: ma non è bastato a mantenere la dignità di un polo autonomo. E ad evitarci questo chiarissimo segnale di ritirata. E’ come quando le scuole vengono fuse: una mantiene il nome, l’altra no, una resta arbitro delle proprie scelte e l’altra no.
E tutto nel silenzio della città, come era già capitato per la Soprintendenza, fatto salvo tentare di ripristinarla dopo anni. Un’università dalle radici antiche: quelle dello Studium Aretino fondato nel ’200, il primo in Toscana. Poi ripartita dall’iniziativa forte di Amintore Fanfani nel 1969, che allora volle una facoltà di magistero poi diventata Lettere, combattuta ciecamente per anni da molte istituzioni politiche locali, e che ora rischia di affogare nella distrazione della politica attuale.
A meno che non subentri un lampo di orgoglio, una scossa bipartisan. Che «La Nazione» auspica e anzi chiede con forza a chi ha in mano le chiavi della città. Prima che arrugginiscano per sempre