
di Salvatore Mannino
Che sia stato l’anno più nero dell’economia aretina, il peggiore del dopoguerra (e si parla di 75 anni) in termini di recessione, è ormai quasi un luogo comune. I conti in termini di Pil (prodotto interno) bruciato sono ancora da completare, ma sicuramente siamo a una caduta che sta fra i 900 milioni (la stima più prudente) e il miliardo (la più pessimistica). Non per tutti, comunque, il 2020 è stato altrettanto disgraziato: c’è chi ha perso di più, anche in campo industriale, chi di meno e chi addirittura si è difeso. Proviamo a tentare un quadro d’assieme.
Innanzitutto i due pilastri della manifattura, l’oro e la moda. Del distretto dei gioielli traccia il bilancio Giordana Giordini, presidente di Federorafi-Confindustria: "Siamo andati a sbalzi, i due mesi iniziali, quando non c’era ancora il Covid, normali, poi lo shock del lockdown produttivo che ci ha tenuti fermi dalla metà di marzo alla metà di maggio. E quando finalmente abbiamo riaperto, ci è toccato di pagare il lockdown degli altri, quelli che ci erano entrati dopo di noi. Fino a luglio un altro periodo pesante, cui è seguita una discreta ripresa fra settembre e ottobre. A fine anno il nuovo stop del secondo giro di vite".
Risultato finale? "Fatturati sotto da un minimo del trenta a un massimo del cinquanta per cento", dice la presidente, che però intravvede un briciolo di luce in questo 2021 appena iniziato: "Dei nostro tre mercati più importanti, dagli Stati Uniti ci sono segnali positivi, anche a Dubai c’è un po’ di movimento che lascia ben sperare. Hong Kong, invece, è la più indietro". Le prospettive - pronostica lei - saranno ancora buie fino a giugno. "Poi, grazie anche alle vaccinazioni mondiali, contiamo su un rimbalzo nella seconda metà dell’anno, dall’estate in poi, quando spero che potremo contare anche sul ritorno delle fiere in presenza, per noi sono fondamentali".
Già, perchè il primo appuntamento del 2021, Vicenza, è già saltato e valeva una bella fetta degli ordini. Oro Arezzo, ammesso che si faccia, dovrà slittare da aprile almeno a maggio e giugno. "Ci difendiamo col virtuale, tutti si sono attrezzati per i campionari on line, chi da solo, chi con le piattaforme, dagli Usa, per esempio, quello che si muove lo fa tramite il web e la Tv". Conti è difficile farne, ma anche se la ripresa fosse forte, ed è dubbio, ci vorranno anni per recuperare.
Fa eccezione ovviamente l’oro puro, con i cinque giganti che crescono in fatturato ed export, trascinati dalla domanda di metallo come bene rifugio. Ma incidono molto meno su valore aggiunto e occupazione, anche se aziende come Chimet (la prima in Toscana per fatturato, 3,5 miliardi) e Tca fanno non solo trading ma anche molta lavorazione di altri metalli nobili
Il sistema moda, invece, ha accusato il lockdown produttivo quanto i gioielli, ma è ripartito prima e più forte grazie alla domanda di alta gamma che viene dall’Estremo Oriente, in particolare dalla Cina, tutti paesi meno danneggiati dal Covid.
Ci sono infine le aziende che non si sono mai fermate e che dunque reggono meglio, dalla Tratos dei cavi di Albano Bragagni alle multinazionali tascabili della meccanica come Ceia (che perde negli aeroporti ma guadagna nella sicurezza alimentare) e Saima. Sono ripartite bene anche Menci a Castiglion Fiorentino, Svi a Lucignano, e Tesar. Tengono pure Borri e Cig a Bibbiena. D’accordo, per ora sono eccezioni. Ma indicano la via.