Salvatore Mannino
Cronaca

Ripartenza, l'oro non accende tutti i motori: è ancora fermo all'85%

I grandi mercati ancora al palo. Riapertura complessa anche negli altri settori produttivi. La moda è al 70% del potenziale. Tornano in Prada centinaia di operai

L'oro ancora al palo

Arezzo, 24 maggio 2020 - Più che una ripartenza pare una corsa a ostacoli, una salita ripida per scavallare la quale serviranno tempo e pazienza, insieme alla forza e all’agilità di un Coppi o di un Pantani quando scattavano verso le cime di montagna. Parliamo della riapertura della manifattura e in particolare dell’oro, che a distanza di quasi un mese dalla fine del lockdown produttivo, il 4 maggio, viaggia a passo di lumaca.

E’ il distretto dei gioielli, il più importante d’Europa, che fa fatica sopra tutti. Tanto che sia le stime sindacali che quelle di fonte imprenditoriali sono concordi nel segnalare un settore ancora in forte sofferenza. La gran parte delle 1200 aziende (fra produttive e commerciali) sono chiuse o se hanno ricominciato lo hanno fatto in maniera assolutamente parziale.

La cifra che trapela è da brividi: almeno l’85 delle imprese in panne, sospese sul filo di un ritorno difficile al tempo di prima, fabbriche piccole e grosse, a cominciare dal faro del distretto, la UnoAerre, che vanno avanti con la cassa integrazione, parziale nel gigante di San Zeno e in un’altra miriade di ditte, totale in quelle rimaste più indietro. Come se il lockdown non fosse mai finito.

La questione è sempre la solita, quella che già aveva indotto il comparto orafo a non mordere troppo il freno quando un mesetto fa molti premevano per la ripartenza anticipata a fine aprile. I mercati mondiali ai quali il distretto si rivolge sono in realtà ancora chiusi o riaperti con grande prudenza. Qualche segnale positivo viene dagli Stati Uniti, terzo sbocco dell’export, che pure in piena pandemia mandano qualche squillo di risveglio.

Ma Dubai, nonostante tutto il primo mercato, e Hong Kong restano al palo. In queste condizioni inutile lavorare: vorrebbe dire solo riempire i magazzini, che nel tempo del just in time, la produzione in diretta, quasi non esistono più. Le conseguenze sono pesanti: 10-11 mila dipendenti, 8 mila del diretto e il resto dell’indotto, che si barcamenano fra casa e orario ridotto.

Il problema vero, segnalano dalle associazioni imprenditoriali e anche dal sindacato, verrà quando fra un mese più o meno, intorno al 20 giugno, saranno esaurite le nove settimane di cassa integrazione del decreto Cura-Italia. Le nove successive del decretone appena varato partono da settembre, nel mezzo restano due mesi, luglio e agosto, scoperti. L’ultimo si può aggiustare con le ferie correnti, ma quello precedente?

Le imprese per legge non possono nemmeno licenziare, chi si troverà a corto di liquidità per i salari andrà in grave difficoltà. Vale anche per l’altra colonna portante dell’export aretino, ossia la moda, che pure sta assai meglio dei gioielli, così come i grandi raffinatori di oro che possono contare sulla domanda forte di lingotti come bene rifugio per gli investitori.

Abbiglliamento e pelletteria, soprattutto quelli di lusso delle grandi griffes come Prada e Valentino in Valdarno, stanno riaprendo al 60-70 per cento della loro capacità produttiva. Già la prossima settimana torneranno in Prada altre centinaia di addetti.

Nella metalmeccanica le difficoltà sono minori, anche perchè ci sono aziende come Saima Meccanica e Ceia che non hanno mai chiuso. Soffre Fimer, una delle due eredi, con Abb, della ex Power One, la cui cassa integrazione per centinaia di dipendenti è approdata al tavolo dell’assessore regionale Simonetti, ma la speranza di una ripresa del mercato degli inverter è forte.

Così come è robusto il pacchetto di commesse in mano a Baraclit, frenata però dal ritardo con cui riaprono i cantieri che usano i suoi prefabbricati. L’azienda è al lavoro, ma si va verso un altro rallentamento produttivo programmato.