
Luca Bronchi e Giuseppe Fornasari
Arezzo, 18 maggio 2021 - Tutti assolti. Uno dei filoni chiave del processo Etruria si chiude con una vittoria senza discussioni delle difese e dei tre imputati: l'ex presidente Giuseppe Fornasari, l'ex direttore Luca Bronchi e il dirigente Davide Canestri sono stati assolti sul filone del falso in prospetto. Ed è stata ufficializzata la prescrizione per le prime due emissioni di obbligazioni subordinate, mentre per la terza è scattata l'assoluzione. Una sentenza dunqued double face: perché l'indicazione della prescrizione dà per scontate delle responsabilità che invece sulla terza emissione vengono completamente escluse.
Era un altro di quei giorni che (per parafrasare Ornella Vanoni) gli aretini e la loro ex banca di riferimento non avevano conosciuto mai. Perchè a meno di una settimana dalle richieste di pena dei Pm nel maxi-processo per bancarotta, arriva un altro snodo cruciale dell’infinita telenovela di Etruria, quello del falso in prospetto. E stavolta non era solo una requisitoria, ma il martedì del verdetto.
Sentenza, peraltro, che sarebbe potuta risultare inutile qualunque essa fosse. Perchè su questo ulteriore filone del crac incombeva l’ombra della prescrizione, termine giuridico che fino a qualche anno fa pochi conoscevano ma col quale tutti adesso hanno imparato a fare i conti, a forza di leggere giornali e guardare talkshow tv.
In questo caso, la requisitoria del Pm, Julia Maggiore, la stessa del maxi-processo con la sua vocina flebile ma che riesce comunque a farsi ascoltare, è del 25 marzo: un anno e mezzo per l’ex presidente Giuseppe Fornasari e il suo direttore generale Luca Bronchi, un anno netto per il responsabile dell’epoca del risk management, David Canestri. Poi le difese hanno avuto due udienze in aprile per provare a smontare il quadro d’accusa e chiedere l’assoluzione: operazione che alla luce dei fatti è perfettamente riuscita.
Il caso, inutile dirlo, era clamoroso, per quanto le pene, anche in caso di condanna sarebbero state modeste, come è modesto il reato, che deriva non dal codice penale ma da quello civile. Riguarda infatti le due mandate di obbligazioni subordinate che Bpel emise nel 2013 e che furono poi azzerate dal decreto di risoluzione del 22 novembre 2015: migliaia di risparmiatori beffati per oltre cento milioni di titoli finiti in fumo.
Il cuore, in fondo, del caso Etruria, perchè l’immagine che rimarrà per sempre di questa storia infinita è quella delle manifestazioni degli obbligazionisti azzerati. Ai tre imputati si rimproverava di non aver fornito al mercato un quadro completo delle disastrose condizioni finanziarie in cui già all’epoca si trovava Bpel, disastro nel quale già aveva messo le mani Bankitalia (che peraltro non obiettò niente) con l’ispezione Gatti e che sarebbe poi stata certificata a dicembre dalla celeberrima lettera del governatore Ignazio Visco che certificava la morte cerebrale della banca aretina e ne imponeva la fusione con una consorella di elevato standing.
Inutile dire che loro hanno sempre ribattuto di aver dato ai potenziali investitori quanto serviva a valutare il rischio. Ma questo ormai è già il passato, oggi la parola è passa al gudice monocratico Stefano Cascone, cui spettava di dire se davvero i sottoscrittori delle subordinate furono ingannati oppure no. E lo ha escluso, almeno per la terza emissione.
Ed è un passaggio che potrebbe pesare, anche se potrebbe rimanere accademico. Di qui alla fine dell’anno, infatti, il falso in prospetto si estingue anche per le ultime mandate di obbligazioni emesse. E la prescrizione potrebbe essere dichiarata già nel processo di appello, ammesso che la procura, a questo punto l'unica interessata, decida di ricorrere contro la sentenza di oggi.