
Piero, l’incubo del polittico smembrato. Case e musei: tavole sparse nel mondo
La data della morte di Piero della Francesca, il 12 ottobre 1492, ha esercitato un fascino singolare sui personaggi più diversi, sugli americani che vi hanno scorto l’annuncio dell’improvviso dilatarsi dell’orizzonte con la scoperta del Nuovo Mondo e su molti europei che vi hanno colto la conclusione di un’esperienza umana ineguagliabile.
Questa ultima idea era stata formulata nel 1933 dal pittore Maurice Denis ed è stata organicamente ripresa in un recente poemetto del poeta catalano Narcis Comadira, Petita Suite Toscana, dedicata al pellegrinaggio pierfrancescano da Arezzo alla Valtiberina. Con Piero si sarebbe esaurita, a suo dire, quella nitida, rigorosa avventura dello spirito che, piena di vigore e di speranza, si fonda sul primato dell’umana dignità. Nato con la raffigurazione carnale di Masaccio e la spiritualizzazione del Beato Angelico, l’umanesimo pittorico giunge a compimento con Piero della Francesca. Il pittore di Sansepolcro rappresenta la fase conclusiva di questa sorprendente primavera dello spirito che merita riassumere nelle parole di Comadira.
"Piero segna la fine dell’avventura primaverile, iniziatica, perché ormai è impossibile andare oltre", esordisce il poeta, "Piero era la luce nella sua massima esplosione, ma in breve, sopraggiunse l’oscurità e naturalmente l’oscurità non lo riconobbe". E in effetti, poco dopo la morte di Piero, scompaiono i suoi affreschi nel castello degli Estensi a Ferrara, vengono erasi quelli in Vaticano, molte sue tavole finiscono in buie sacrestie o vanno disperse, e quelle che fortunosamente sussistono risultano attribuite a un marginale pittore umbro. In questo destino viene coinvolto il Polittico di Sant’Agostino che Piero aveva dipinto per la chiesa omonima di Sansepolcro a partire dal 1454. In origine il polittico comprendeva quattro santi: Sant’Agostino, a cui è intestata la chiesa, che oggi si trova nel Museu Nacional de Arte Antiga di Lisbona, San Michele Arcangelo che è nella National Gallery di Londra, San Giovanni Evangelista, patrono di Sansepolcro, nella Frick Collection di New York e l’agostiniano San Nicola da Tolentino nel Museo Poldi Pezzoli di Milano.
I quattro santi dovevano trovarsi da entrambi i lati del grande scomparto centrale, andato perduto, raffigurante la Madonna con il Bambino.
Del polittico facevano parte, tra l’altro, tre piccoli pannelli quadrati che decoravano la predella: Sant’Apollonia nella National Gallery di Washington, nonché due santi agostiniani Santa Monica e, si suppone, il Beato Angelo Scarpetti nella Frick Collection. Degli altri elementi della predella rimane soltanto una tavoletta con la Crocifissione, sempre nella Frick Collection. Nulla si sa delle altre tavolette, delle cuspidi del polittico e del fastigio della struttura lignea. È difficile immaginare uno smembramento più sistematico di quello in cui è rimasta coinvolta questa opera, uno smembramento che, per altro, risulta già in atto circa un secolo dopo la sua esecuzione, vale a dire nel 1555, allorchè gli agostiniani lasciano la chiesa con tutti i loro arredi e corredi.
Due dei quattro santi risultano per un certo periodo in mani private, in casa Ducci a Sansepolcro, e a metà Ottocento sono proprietà del mercante milanese Fidanza, mentre le tavole di piccolo formato appartengono ai discendenti di Piero, i Marini Franceschi, che le cedono al mercante fiorentino Bardini. Di recente sono state proposte varie ricomposizioni del polittico per come doveva figurare in origine.
Di sicuro la più attendibile è quella che verrà proposta, a partire da marzo, come già annunciato da questo giornale, dal Museo milanese Poldi Pezzoli, con l’esposizione dei pezzi sopravvissuti allo smembramento. A tal proposito, c’è da auspicare un’iniziativa congiunta dei Comuni di Arezzo, Sansepolcro e Monterchi volta al trasferimento successivo dell’esposizione nella città natale di Piero, per la quale il polittico venne eseguito. Oltre che valida in sè, l’impresa storico filologica messa in atto dal Museo milanese invita a riflettere su un fenomeno culturale che merita di essere approfondito. Ci si riferisce alla dispersione del patrimonio pittorico pierfrancescano che avviene in due tempi diversi. Una prima fase è conseguente al tramonto dell’aurorale umanesimo a cui fa riferimento Comadira; una seconda si verifica con la rivalutazione del pittore.
Se le prime dispersioni delle opere di Piero erano dovute al deprezzamento del suo inflessibile rigore insidiato, in pieno Rinascimento, dalla grazia di Raffaello, dall’enigmaticità leonardesca e dal gigantismo michelangiolesco; il secondo momento di questo fenomeno dispersivo è il frutto paradossale del suo apprezzamento.
Ancora una volta Sansepolcro è al centro di una dolorosa diaspora che a metà Ottocento vede la perdita della pala con il Battesimo, dipinta per una chiesa della Val d’Afra e conservata a lungo nella sacrestia della cattedrale, e della Natività ceduta dai discendenti del pittore ad un mercante fiorentino.
Due opere che segnano l’avvio e la conclusione della parabola pierfrancescana, finite entrambe nella National Gallery di Londra.