Tutto in tre ore. "Ergastolo", scrivono i giudici della Corte di Appello nella sentenza che conferma la condanna in primo grado. Ieri a Firenze, come un anno fa ad Arezzo. Jawad Hicham, 40 anni, assiste immobile, lo sguardo basso. A pochi metri, il figlio Anis, oggi diciottenne. Al suo fianco lo zio Alessandro Ruschi, fratello di Sara, la madre del ragazzo uccisa a coltellate insieme alla nonna, Brunetta Ridolfi, nell’appartamento di via Varchi, a San Lorentino. Una notte di orrore in quell’appartamento. Anis e la sorellina di due anni dormivano nella cameretta, svegliati dalla furia del padre e dalle urla della nonna che prima di cadere sotto i colpi all’addome cercò di metterli in salvo.
L’avvocato che assiste Hicham ha impugnato la sentenza di primo grado tentando la via dell’Appello per ribaltare la sentenza dei giudici aretini. Una strategia difensiva che Fiorellla Bennati ha calibrato su due fronti. Il primo: la riapertura del dibattimento con la richiesta di perizia psichiatrica alla quale sottoporre Hicham nel tentativo di dimostrare che al momento del duplice delitto non era in grado di intendere e volere. Per questo ha presentato alla Corte una serie di documenti clinici e diagnostici sullo stato psichico di Hicham in carcere. Il procuratore generale non si è opposto rimandando alla decisione dei giudici anche se ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado.
L’altro versante sul quale l’avvocato Bennati ha condotto la strategia difensiva riguarda la relazione con Sara: per la difesa di Hicham era già finita e questo particolare smonterebbe l’aggravante contestata, invece, all’imputato dei legami familiari con la vittima. Aggravante che in un duplice delitto porta dritta all’ergastolo.
Diametralmente contrapposta la linea dell’avvocato Alessandra Panduri, al fianco dei familiari di Sara e Brunetta che si sono costituiti parte civile. Contrari alla perizia psichiatrica perchè Hicham ha ucciso in tre minuti, prima Sara con ventitrè coltellate e Brunetta, spiega Panduri per la quale è "difficile pensare che non fosse in grado di intendere e volere in così breve tempo visto che pochi minuti dopo è sceso in strafa e ha chiamato il 112 dicendo di aver commesso un reato enorme".
No fermo anche alla contestazione dell’aggravante dei legami familiari. Nonostante Sara avesse intenzione di lasciare Hicham "faceva in modo di assicurargli una casa in attesa che potesse contare su un’altra sistemazione; un atteggiamento che connota la solidarietà materiale della famiglia". Due ore: il tempo di illustrare in aula le ragioni del ricorso e quelle contrarie. Poi la sentenza-lampo arrivata nell’arco di sessanta minuti. I giudici hanno respinto le richieste della difesa poichè "non emerge da alcuna fonte di prova una psicopatologia o uno stato di disturbo neurologico grave". In definitiva non ci sarebbe stato alcun "raptus omicidiario scevro da una determinazione volitiva consapevole". Poi la parola che pesa come un macigno: ergastolo. Jawad Hicham lascia l’aula e torna in carcere, a Prato.
Dietro le sbarre i pensieri che lo riporteranno all’orrore di quella notte. Che non lo abbandonerà.