Martina morì sfuggendo allo stupro di gruppo "Unica verità processuale", il sigillo della Corte

Papà Bruno e mamma Franca: "Sentenza ben motivata". La Cassazione: "Nei ricorsi lagnanze inamissibili" e scatta la sanzione di 3mila euro

Migration

di Erika Pontini

Martina Rossi morì, precipitando ’a candela’, senza più i pantaloncini, dalla stanza 609 dell’albergo di Palma di Maiorca di Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni per sfuggire a un tentativo di violenza sessuale di gruppo: non aveva assunto stupefacenti, come provano le analisi e non voleva suicidarsi. E’ questa "l’unica verità processuale che risulta trovare conferma nella valutazione dei molteplici indizi esaminati" secondo la Corte d’appello bis di Firenze: un "convincimento motivato" per la Cassazione che ha depositato, a tempo di record, le motivazioni con le quali ha sigillato la condanna a tre anni di reclusione per Vanneschi e Albertoni e reputato i motivi del ricorso "lagnanze inammissibili" nel tentativo di "sollecitare una rivalutazione a 360 gradi del materiale probatorio non consentita nel giudizio" di Cassazione "laddove, come nel caso di specie, la sentenza impugnata risulta esente da macroscopici vizi logici o da evidenti carenze o contraddizioni". Gli ermellini hanno ritenuto di condannare gli imputati anche al pagamento di 3mila euro ciascuno alla cassa delle ammende: per colpa nella causa di inammissibilità.

In cento pagine reputano "corretto" che la Corte d’appello abbia utilizzato le bugie degli imputati come elemento di responsabilità: l’alibi falso infatti è un indizio a carico. Ed entrambe le versioni di Vanneschi e Albertoni sono state ritenute inattendibili. Nei ricorsi chiedevano di ’rileggere’ il significato delle intercettazioni ma per la Cassazione la ricostruzione di merito è "ampia e conducente". Anche laddove ritiene che Vanneschi e Albertoni manifestarono "soddisfazione" quando, interrogati in questura a Genova, si accorsero che nelle carte a loro disposizione, non si faceva cenno alla violenza sessuale "in una fase nella quale l’ipotesi investigativa di violenza non veniva coltivata". Ma ne parlarono.

"Insindacabile" il giudizio della Corte fiorentina che ha ricondotto i "graffi" sul collo di Albertoni e le lesioni non da caduta sul corpo di Martina ad una colluttazione, prima della drammatica caduta. Quando la ventenne scavalcò la balaustra per raggiungere il terrazzino accanto ma precipitò.

E nulla incide l’eventuale ’mancanza di movente sessuale’ lamentata. "Ben potrebbe essere stata estemporanea o d’impeto". Regge al vaglio degli Ermellini anche la configurazione del reato: tentata violenza sessuale di gruppo a fronte alla "certa compresenza di Albertoni e Vanneschi (uno disse che dormiva e l’altro che non c’era) che, altrimenti, avrebbe fatto maturare ben prima la prescrizione. "Ciò che trasforma elementi deduttivi nella certezza, al di là di ogni ragionevole dubbio, nella complicità di Vanneschi nell’aggressione sessuale di Albertoni è la lettura degli elementi nella logica ricostruttiva della sentenza impugnata, congiuntamente al comportamento dello stesso Vanneschi in seguito all’episodio e durante le indagini": dichiarazioni "mendaci", tentativo di "inquinare le prove"

La difesa degli imputati – rappresentata dagli avvocati Buricchi, Baroni e Coppi – aveva sostenuto, in particolare, che la ragazza si suicidò, facendo leva sulla deposizione della cameriera, unica testimone oculare dell’accaduto, che riferì di aver visto la ragazza cadere dopo aver "preso lo slancio". La Cassazione ritiene però "logicamente ineccepibile" la valutazione della Corte laddove mette in discussione la percezione della testimone sul punto del balcone da cui cadde Martina a causa del suo punto di osservazione, laterale. "La testimone trasse conclusioni non tanto descrittive quanto valutative".

"Siamo soddisfatti: la motivazione accoglie in pieno quanto abbiamo sempre sostenuto", dicono i genitori Bruno e Franca difesi dagli avvocati Savi, Fanfani ed Marzaduri.