GAIA PAPI
Cronaca

Mancano braccianti. Le aziende in ginocchio: "Produzione dimezzata"

La Coldiretti aretina: "Il decreto flussi? Innesca un meccanismo troppo lento". Su 440 richieste di manodopera sono arrivati solo dieci operai dal Marocco. Le aziende a rischio chiusura: "Le stagioni non aspettano la burocrazia".

Le domande per assumere lavoratori stagionali erano pronte già a novembre

Le domande per assumere lavoratori stagionali erano pronte già a novembre

di Gaia Papi AREZZO Ogni anno, puntuale come una stagione, torna l’emergenza lavoro nei campi. E ogni anno la risposta è più difficile da trovare. Monica Conti, responsabile lavoro di Coldiretti Arezzo, parla senza giri di parole: "È brutto da dire, ma siamo di nuovo al punto di partenza. Le aziende non trovano manodopera, e così si rischia di perdere i raccolti. Alcuni agricoltori stanno addirittura estirpando i frutteti. Non ce la fanno più". Il nodo è sempre lo stesso: il Decreto Flussi. Le domande per assumere lavoratori stranieri stagionali erano pronte già a novembre. "Abbiamo caricato le richieste, le abbiamo inviate a febbraio. A oggi, giugno, su 440 richieste sono arrivati solo in dieci. Solo dal Marocco, perché c’è un accordo bilaterale che accelera le pratiche. Dagli altri Paesi – India, Bangladesh, Pakistan – il nulla". Una lentezza burocratica che scoraggia anche gli imprenditori più tenaci. "Ci confrontiamo con la Questura e l’Ispettorato, che si mostrano disponibili, ma il problema è a monte. L’intero meccanismo è troppo lento. Ci sono ancora pratiche del 2023 ferme. E nel frattempo, chi deve raccogliere le zucchine, le fragole, le mele, l’uva, il tabacco?". La conseguenza è grave: chi può si affida a ditte esterne, più costose e spesso poco affidabili. Chi non può, resiste stringendo i denti. Chi è stanco, abbandona. "Un’azienda di frutta nella zona di Alberoro cercava 100 persone tramite il Centro per l’Impiego. Ne hanno trovate tre. Capite? Tre. Gli altri non si sono presentati neppure al colloquio". Le alternative? Spesso rischiose. "C’è il rischio di affidarsi a realtà non in regola, per necessità. Ma poi chi paga il conto sono sempre gli agricoltori, che si ritrovano sanzionati, beffati due volte: senza prodotto e con multe salate". E nel frattempo il consumatore paga di più, o peggio, trova meno prodotti locali. "È il paradosso: il Made in Italy è a rischio. Quando non c’è la grandine o il gelo, manca chi raccoglie. E senza raccolta, il prodotto resta nei campi". Il dramma coinvolge anche i giovani. "Che prospettive possiamo offrire a un giovane agricoltore? Come si fa a dirgli "Prendi l’azienda", se il primo problema è trovare chi lavora?". A complicare tutto ci sono i costi: "Abbiamo provato anche con i rifugiati. Facciamo visite mediche, formazioni. Dopo tre giorni, non si presentano più. Ogni volta è un investimento che si perde nel nulla". Conti lancia un appello chiaro: "Non ci interessa se il lavoratore è italiano o straniero, comunitario o extracomunitario. L’importante è che sia già presente e disponibile nel territorio. Serve un decreto flussi serio, fatto ad hoc, che funzioni. Non possiamo aspettare sette-otto mesi per una risposta. Le stagioni agricole non aspettano la burocrazia". Il rischio più grande? "Che le aziende chiudano. Alcune lo stanno già facendo".