Camillo
Brezzi
Qualche giorno fa, intervistato dalla “Nazione”, il filosofo Massimo Cacciari, prorompeva: "Smettiamola con questa retorica delle guerre". Finalmente, qualcuno ha il coraggio di dirlo a chiare lettere. Non so se questi sono tempi in cui i filosofi siano ascoltati, ma sarebbe un bel passo avanti se nel dibattito che caratterizza da più di un anno nel nostro Paese si ponesse fine a una dichiarazione troppe volte ripetuta, con estrema superficialità, sulle pagine della stampa, dai teleschermi di tutte le reti, nei vibranti interventi nelle aule parlamentari: "Siamo in guerra". Inizialmente avevo pensato che fosse una boutade, ma in breve è diventato un coro. Per accrescere il clima di pericolo nei preoccupati ascoltatori dei talk show televisivi, quasi sempre il tuttologo di turno attirava l’attenzione con la forte dichiarazione: "Siamo in guerra". Quindi, abbassando la voce e con il tono rassegnato, aggiungeva: "anzi, contro un nemico invisibile". Quasi a sottintendere che oggi, nel 2020 e 2021, si sta peggio, per esempio, dei nostri genitori o nonni, che videro attraversare il paese da eserciti ben “visibili”.
Non intendo sottovalutare la gravità della condizione manifestatasi in Italia (e nell’intero contesto internazionale) in questo ultimo anno. Anzi, premetto che, data la mia veneranda età, sin dall’inizio ho preso sul serio il Covid, seguendo con la massima attenzione le misure alle quali come cittadini dotati di senso civico dovevamo attenerci. Certamente a causa del virus siamo rimasti in casa, impauriti dalle notizie dei telegiornali e dalla stampa, preoccupati dal numero dei ricoveri e delle vittime, inorriditi dalle fila di camion militari che trasportavano le bare, costretti a limitare i nostri movimenti rinunciando alla socialità.
Ma il raffronto con la guerra è superficiale e dimostra che l’attuale classe dirigente (politici, giornalisti, intellettuali, che pontificano a tutte le ore su tutti i canali televisivi e radiofonici) non ha mai visto una guerra (per sua fortuna), ma sarebbero sufficienti un film o una fiction televisiva (non voglio fare il saccente professore indicando un libro) per conoscere cosa caratterizza le guerre: i bombardamenti, le distruzioni di case, la mancanza di cibo, gli arresti, le stragi, i paesi minati. Tutti aspetti che il territorio aretino ricorda assai bene a proposito della seconda guerra mondiale, e basterà ricordare i nomi di Civitella, di Cavriglia, di San Polo, di Pieve Santo Stefano. Queste sono le immagini di quella "guerra totale" che irrompe nelle case di tutta Europa, che fu l’origine del dramma vissuto da donne e uomini, da giovani e anziani, nelle città e nelle campagne.
A distanza di un anno, si prosegue con queste formule belliche Roberto Burioni, il virologo che settimanalmente nella trasmissione di Fabio Fazio ci aggiorna sull’andamento della pandemia,on si limita a ricordarci che siamo in guerra, ritiene opportuno consigliare, per sconfiggere il coronavirus, di rifarsi al modello di Churchill .
Ben diverse, per fortuna, le riflessioni che ci giungono dalle memorie storiche e dalle analisi di studiosi che, in qualche caso, non hanno mancato di sottolineare l’assurda analogia tra periodo bellico e pandemia. In questi terribili mesi nessun adulto né bambino è stato svegliato nel cuore della notte per doversi riparare in qualche scomodo o freddo rifugio. Un bambino aretino, il quindicenne Almo Fanciullini ha lasciato i suoi quaderni all’Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano. In queste pagine descrive nei particolari i bombardamenti che si susseguono su Arezzo tra la fine del 1943 e il ’44; dalla campagna circostante, dove si è rifugiato con la famiglia è colpito, e per certi aspetti affascinato, dalle squadriglie dei bimotori che arrivano nel cielo sopra Arezzo e sganciano numerose bombe. Quando, spinto dalla curiosità, il 4 marzo 1944 decide di andare a vedere la sua città dopo due mesi di assenza, è accolto da un paesaggio molto diverso da quello che aveva lasciato: "aspetto pauroso, intere vie chiuse dai rottami e non si riconosce più nulla, altre che appena si può passare a piedi, case sparite e altre pendolanti: non vi è casa che non riporti i segni della guerra. Passando per il corso fra la ferrovia e via Roma non si riconosce più nulla, un brivido di emozione mi ha percorso la vita e sono stato costretto a venire a casa". Almo vede intorno a se "desolazione e morte".
Questo è lo scenario di quei terribili anni di guerra. "Smettiamola con questa retorica delle guerre", ci invita, dunque, Massimo Cacciari. È probabile che questo consiglio derivi anche dal fatto che nelle ultime settimane abbiamo visto nei telegiornali, abbiamo letto nei reportage giornalistici, una guerra; una guerra vera. Abbiamo vcaseggiati e palazzi venire giù come castelli di carte, salme, feriti, abbiamo ascoltato gli appelli dei bambini e visto le loro lacrime: questa è la guerra. Ha ragione Cacciari: "Speriamo che gli italiani siano persone abbastanza mature per capire che non siamo nella striscia di Gaza".
Ottanta, settantacinque anni fa, dai contrapposti fronti, équipe di scienziati e tecnici cercarono di scoprire ordigni di morte sempre più micidiali, fino a costruire la bomba atomica. Oggi, noi abbiamo assistito al prezioso lavoro di scienziati capaci di realizzare vaccini che ci consentono di uscire dalla pandemia o, almeno di conviverci.