
Attilio
Brilli
In merito alla ricollocazione della Madonna del parto di Piero della Francesca nella sede originaria, così come da una recente sentenza del TAR della Toscana, vorrei ricordare un episodio sconosciuto ma memorabile che invita a riflettere. Subito dopo la fine della guerra, nel 1946, sostava a Monterchi, nel corso di un lungo viaggio in Italia alla scoperta degli artisti del tardo Medioevo e del primo Rinascimento, Michael Ayrton, pittore, scultore e scrittore inglese che Wyndham Lewis aveva a suo tempo pronosticato come la grande promessa delle arti figurative britanniche. Questi è per altro un appassionato cultore dei miti mediterranei che studia e fa rivivere traducendoli in pittura e scultura.
Ignaro della storia dell’affresco e del suo culto, durante la visita a Monterchi, Ayrton coglie immediatamente l’istintiva, ancestrale protezione che le donne del posto invocano dalla loro Madonna, e soprattutto si rende conto come questa si animi e faccia propria la loro condizione dando vita di volta in volta al fatidico evento. Mentre sta osservando l’affresco all’interno della cappellina, entra in quello spazio angusto una bambina con un mazzolino di fiori di campo e un barattolo vuoto di conserva. Ayrton dice di aver percepito in maniera nitida il respiro affannoso della bambina che si trovava dietro di lui, e come poco a poco quel respiro fosse diventato un ansimo di dolore trasferendosi in qualche modo alla Madonna. Questa, la Madonna dell’affresco, pareva ora respirare e poi ansimare sempre più velocemente: "Vidi la gola di lei pulsare mentre la guardavo, là in mezzo ad un ventre di polvere, sulla polvere, in attesa di partorire… in un cimitero".
Frastornato dalla visione, Ayrton esce dalla cappella non senza cogliere l’eloquente allusività di un simbolo che si richiama allo sguardo introspettivo della Madonna tornata nel frattempo alla sua pensosa immobilità: "Feci qualche passo indietro e, attraverso la porta, uscii alla luce del sole. Per un attimo ebbi il timore di guardare, ma quando mi voltai e guardai di nuovo, vidi soltanto la bambina che stava sistemando i fiori malconci e posando sull’altare una grande croce che pareva avesse appena trovato".
Non credo che Ayrton, o chi per lui, potrebbe oggi cogliere una analoga, tutelare identificazione della Madonna del parto con le donne del luogo, sue discendenti. L’impedirebbe l’attuale anonima collocazione che racchiude in uno spazio pseudo museale una divinità dal sostrato pagano, una divinità fatta per respirare in contiguità con gli alberi, le colline, i campi, i coltivi. Dovremmo tenere sempre presente che l’approccio ad un’opera d’arte implica la conoscenza effettiva delle radici che la collegano al luogo per il quale è stata eseguita e dal quale trae, quando è possibile, parte della sua identità.
Con ciò s’intende, almeno in questo caso, non solo la ricostruzione del passato della creazione artistica e della sua ubicazione, ma anche, e forse soprattutto, la storia della sua scoperta e della sua fruizione nel più ampio orizzonte temporale, della sua descrizione effettuata in epoche e da culture diverse, del suo imprimersi nell’immaginario di tutti noi con la più vasta gamma di risonanze. La chiesa che ha ospitato per lungo tempo la Madonna di Piero non è più quella originaria, come si sa, ma pressoché medesimo è il luogo, vale a dire il poggio addossato alla collina con la viottola scortata dai cipressi, la cappella non molto dissimile dalle maestà che s’incontrano presso i cimiteri o ai crocicchi di campagna.
È in questa umile ma autentica collocazione che l’hanno vista e descritta personaggi che ne hanno rilanciato, per così dire, il culto religioso, ma anche quello estetico e civile, da Piero Calamandrei che nel 1944 ne faceva il motivo d’attacco del discorso per la riapertura dell’Università di Firenze: "Non è passato giorno che io non abbia pensato, come pensavo ai miei parenti ed amici, a quel piccolo quadro abbandonato ai tedeschi", ad Andrej Tarkovskij che la trasformò in un emblema del tempo nel suo film Nostalghia. Senza dimenticare l’anonimo custode che raccontava del rifiuto dei milioni offerti da De Gaulle al Comune di Monterchi per esporre la Madonna del parto al Louvre. L’episodio accadeva "l’anno del diluvio", con il quale il custode intendeva l’alluvione fiorentina del 1966.
Tante sono le perplessità circa l’attuale collocazione dell’affresco da parte di scrittori di tutto il mondo. Gli americani ignoranti abbattono le statue di Colombo, ma ci sono anche quelli che vedono nel ventre della Madonna di Monterchi, come ha scritto la poetessa Judith Baumel, "la rotondità della terra che inganno Colombo". Non a caso, Piero è morto il giorno in cui Rodrigo de Triana annunciava da La Pinta l’avvistamento del Nuovo Mondo. Ricordava Kenneth Clark, storico dell’arte che si è sempre mosso con lo spirito del viaggiatore, che la Madonna del parto è una delle rare opere che mantengono vivo il senso del pellegrinaggio.