SALVATORE MANNINO
Cronaca

"Ma fu combattuta solo da parte dei fascisti E in mezzo c’è un ventennio di consenso"

Anche gli episodi aretini fanno pensare piuttosto alla disperazione di gruppi ristretti abbandonati dai partiti di sinistra in liquefazione

Salvatore Mannino

L’insurrezione di San Giovanni al passaggio degli squadristi fiorentini in realtà diretti a Perugia, la coeva (sempre il 23 marzo 1921) sollevazione dei minatori di Castelnuovo, con il "delitto di folla" dell’ingegner Agostino Longhi, l’occupazione di Arezzo il 10 aprile, con l’assassinio di Mario Ercolani, il bando ai capi socialisti e comunisti, la resistenza del quartiere di Colcitrone all’invasione fascista, l’imboscata della domenica successiva, il 17 aprile, al camion di squadristi di Renzino e la susseguente, feroce rappresaglia scatenata a Foiano, mai così violenta nella "gentil Toscana" di cui scrive Angelo Tasca, furono i primi atti di una guerra civile destinata poi a riaccendersi, dopo il Ventennio, nella Grande Guerra Civile di cui parla, rompendo un tabù, negli anni ’90, Claudio Gentile a proposito della Resistenza e della lotta contro repubblicchini e tedeschi?

L’ipotesi di cui parla Giorgio Sacchetti è suggestiva, ma per quanto l’abbia sostenuta con forza in tempi recenti anche un altro storico serio come Fabio Fabbri, per quanto persino Emilio Gentile, il maggiore studioso italiano vivente del fascismo, abbia parlato da poco di guerra civile (ma forse in un senso diverso da quello di Fabbri e Sacchetti) a proposito delle elezioni del ’21, nella cui campagna elettorale appunto si svolsero i tre episodi aretini sopra ricordati, non pare del tutto convincente, almeno agli occhi di chi scrive.

Intanto, perchè si possa parlare di guerra civile occorrebbe che le parti in lotta fossero due. I fascisti, senza dubbio, rompendo il monopolio legale dell’uso della forza, furono un contendente, ma i partiti di sinistra combatterono dall’altro lato, nonostante per due anni, nel 1919-20, i loro capi più incendiari avessero continuamente inneggiato alla violenza e alla dittatura del proletariato? E nel caso, avrebbero avuto interesse questi partiti a radicalizzare lo scontro fino a quel punto? Si permetta il dubbio, anche solo partendo dal caso aretino.

Niente lascia pensare, allo stato di documentazione, a un’organizzazione dei socialisti e dei comunisti (gli anarchici sono un’altra cosa, ma qui, tranne nelle miniere, contavano poco) in vista di una lotta finale per la conquista dello stato. Tutt’altro, i dirigenti dei partiti di sinistra subirono da inermi l’ondata nera dello squadrismo, prova ne sia che gli squadristi, dopo aver occupato il capoluogo, andarono a cercarli nello loro case e in ospedale dove uno (Ettore Mordini, segretario della Camera del Lavoro) era al capezzale della moglie. Altro che trincea della guerra civile, come dimostra anche il lunedì dopo Renzino, con il sequestro di Arnaldo Pieraccini, capo dei riformisti, e dell’ex deputato Ferruccio Bernardini, trascinato fino a Foiano per fargli pronunciare una pubblica abiura.

Quella battaglia, insomma, la sinistra, tranne sparute eccezioni non la combattè nè qui nel resto del paese e forse non poteva neppure combatterla, da sola contro la soverchiante forza dell’apparato statale periferico complice e alleato dello squadrismo che la tecnica della violenza (quella industriale di origine bellica appunto) la conosceva fin troppo bene. Magari, ma questa è controstoria, sarebbe stato opportuno che la scissione di Livorno si fosse fatta a destra, che i riformisti di Turati fossero andati al governo con Giolitti per indirizzare il mainstream di quegli anni di ferro e di sangue verso altri sbocchi politici.

In realtà, la reazione fascista del 21 è la risposta (la famosa controrivoluzione postuma e preventiva di Luigi Fabbri) alla Grande Paura che l’estremistica politica socialista del 1919-20 (a partito ancora unito e col mito della rivoluzione ridotto appunto solo mito) aveva sollevato nei ceti medi agrari e urbani. Anche qui e soprattutto qui. La Grande Paura di perdere la terra che mobilitò nelle squadracce i proprietari terrieri piccoli e medi, specie in Valdichiana (i grandi agrari finanziarono ma non parteciparono), la Grande Paura di perdere lo status sociale che ebbe lo stesso effetto sulla piccola borghesia cittadina. Grande Paura ingannevole nel ’21 del riflusso, ma era difficile capirlo per i contemporanei. E’ qui che fallò davvero la sinistra, non nel buttarsi in una guerra civile persa in partenza.

Tutto lascia pensare nei fatti di Castelnuovo, San Giovanni e Foiano alla sollevazione di masse o di gruppi ormai privi di guida per la progressiva liquefazione, dinanzi all’offensiva fascista, dei partiti che li avevano guidati fino ad allora. Non c’era organizzazione nell’omicidio dell’ingegner Longhi, non ce n’era neppure nell’imboscata di Foiano. Piuttosto la disperazione di militanti, uomini e donne, abbandonati a se stessi, fino ad appostarsi dietro a una siepe.

Ma fu guerra civile almeno per le dimensioni? I 3 mila morti di cui parla Sacchetti, le 75 vittime in Toscana di quella fosca campagna elettorale, fanno pensare piuttosto a una guerra civile strisciante, con numeri imparagonabili a quelli del ’43-44. E sarebbe stata semmai guerra civile asimmetrica, con la forza totamente sbilanciata da una parte, quella dei fascisti.

E’ possibile stabilire un collegamento ideale con la Resistenza? Sì, in certi nomi (torna Renzino con la banda partigiana omonima), sì in gruppi ristretti che conservarono la fiamma catacombale dell’antifascismo. Ma non bisogna mai dimenticare che in mezzo c’è un ventennio di Regime, nel quale Mussolini e il fascismo seppero conquistarsi un vasto, quasi totalitario, consenso, almeno fino alla crisi della guerra perduta e della catastrofe, ben oltre le pur infami leggi razziali del ’38, ben oltre persino la dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940, che anche qui vide una folla sterminata riempire Piazza Grande (testimonianza di Giuseppina Porri).

Una guerra civile in realtà ci fu, quella che vide i Fratelli d’Europa combattersi in un contemporaneo conflitto dei trent’anni. E per finirla davvero c’è voluta l’Europa unita, se resiste alla grande crisi di questi ultimi anni di sovranismi divisivi.