LILETTA
Cronaca

Lo scultore dei Re, dei Papi e dei Medici Mino da Poppi: un maestro del Rinascimento

Il Vasari lo dà per nato a Fiesole ma in realtà era originario dell’alto Casentino. Una vita intensa alla corti di Napoli, Roma e Firenze

Liletta

Fornasari

Nella "parata" dei Grandi dipinta da Adolfo De Carolis la figura giovanile abbigliata in modo semplice, con una veste grigia e con un berretto in testa, alle spalle di Luca Signorelli, è Mino di Giovanni Mini da Poppi detto Mino da Fiesole, scultore al quale Vasari ha dedicato una biografia in entrambe le edizioni delle Vite, dando però adito a molte incertezze e confusioni, sebbene ci dica che fosse "posto all’arte di squadrare le pietre inclinato a quel mestiere" e che "invaghito della maniera di Desiderio da Settignano suo maestro, per la grazia che dava alle teste delle femmine e dei putti e d’ogni sua figura; parendolimeglio della natura, esercitò e andò dietro a quella".

Mino, "giovane eccellente" e protagonista della scena fiorentina e non solo negli anni Sessanta del Quattrocento, è nato nell’agosto del 1429 da Giovanni Mino e da una certa Caterina. Di questo si ha notizia dalla dichiarazione dei redditi che il padre fece nel novembre dello stesso anno. Il luogo di nascita è ancora oggetto di incertezze. Cancellando l’origine fiesolana avanzata da Vasari, è importante sottolineare che la denuncia del catasto sopra menzionata attesta che la famiglia abitava nel "popolo" di Santa Caterina a Papiano, sopra Stia, e che nell’atto di immatricolazione all’Arte della Pietra e del Legname a Firenze, avvenuta nel 1464, dopo essere tornato da Roma, Mino abbia dichiarato di essere originario di "Pupio", cioè di Poppi. Tale notizia trova conferma anche nel documento relativo alla commissione a lui fatta da Diotisalvi Neroni. In esso Mino è ricordato "schultore da Poppi". Una delle confusioni maggiori create da Vasari è quella di avere attribuito molte opere ad un inventato Mino del Reame, ipotetico artista napoletano, nonché a detta dell’aretino attivo tra Roma e Napoli negli stessi anni in cui in entrambi i centri vi ha lavorato Mino.

Lo scultore casentinese fu chiamato a lavorare alla corte aragonese tra il 1455 e il 145. A Napoli Mino ha scolpito il busto di Astorgio II Manfredi, oggi alla National Gallery di Washington e nel quale appare la firma "Opus Nini". Due documenti, rispettivamente del 20 luglio 1455 e del 31 gennaio 1456, attestano la realizzazione di un Ritratto di Alfonso di Aragona e una scultura con San Giovanni Battista, entrambe destinate a Castel Nuovo ed entrambe perdute.

Mino è stato un apprezzato autore di numerosi busti ritratto, maschili e femminili, dando prova di una spiccata "sensibilità ritrattistica", fino dalle opere giovanili, come quello di Piero dei Medici nel 1453, oggi al Bargello, raffigurato con una veste moderna, o quello del fratello Giovanni de’ Medici nel 1454, anch’esso al Bargello e "loricato" come se fosse un antico romano. Nonostante il riferimento vasariano non si hanno notizie certe sulla sua formazione. La sua attività è stata molto intensa e a Roma, dove è giunto nel 1454, la sua fama, già brillante, crebbe moltissimo. Ne è prova il Ritratto di Niccolò di Leonardo Strozzi (1411-1469), ricchissimo e "irrefranabilmente goloso" banchiere fiorentino, residente nella città pontificia. Il busto, oggi a Berlino, è realmente straordinario e caratterizzato da un forte naturalismo. A Roma Mino fu presente a più riprese, nel 1454, nel 1463 e dal 1474 al 1480. Dopo il secondo trasferimento egli eseguì l’Angelo reggi stemma nella parte destra del timpano di San Giacomo degli Spagnoli, oggi Nostra Signora del Sacro Cuore.

Vasari racconta che Mino fosse andato a Roma, perché disperato per la morte di "Desiderio da Settignano e che una volta giunto nella città pontificia aiutasse i "maestri che lavoravano allora opere di marmo e sepolture di cardinali, che andorono in San Pietro di Roma" e che qui fu conosciuto "per maestro molto prattico e sufficiente e gli fu fatto fare da un cardinale l’altare in marmo dove è il corpo di San Girolamo nella chiesa di Santa Maria Maggiore". Per lo stesso committente, che Vasari chiama Guglielmo Destovilla, alla fine degli anni Cinquanta aveva iniziato il Ciborio della Neve. Realizzato per l’altare papale in Santa Maria Maggiore e consacrato dal cardinale nell’estate del 1461. . L’opera è stata fatta smontare da Benedetto XIV nel 1747 e le parti che la componevano oggi sono distribuite in luoghi diversi.

Tornando alle indicazioni di Vasari, l’opera in San Pietro è il monumento funebre di Paolo II Barbo, papa veneziano "che faceva il suo palazzo a San Marco". La "più ricca sepolturache fusse fatta d’ornamenti e figure a pontefice nessuno" fu lavoro di collaborazione tra Mino e Giovanni Dalmata (1440 ca-post 1509) tra il 1474 e il 1477, che da "Bramante fu messa in terra" in occasione dei nuovi lavori da lui condotti in San Pietro. I rilievi del monumento, definitivamente eliminato nel XVII secolo, sono oggi nelle Grotte Vaticane. Numerose e importanti furono le commissioni che Mino ebbe a Roma durante ogni suo soggiorno.

Una volta tornato a Firenze, sempre alla metà degli anni Sessanta, senza rinunciare alla "maniera" sviluppata a Roma, cercò di adeguarsi alle tendenza della scultura fiorentina. Impresa che testimonia tale atteggiamento sono i rilievi per la cappella del vescovo Leonardo Salutati nel duomo di Fiesole. Spetta a lui avere eseguito su richiesta di Ugolino Giugni, vescovo di Volterra, anche il monumento sepolcrale del fratello Bernardo, morto il 5 giugno del 1466 e da Vasari ricordato come "persona onorevole e molto stimata". Il monumento piacque ai monaci e tale favore fece sì che Mino abbia avuto l’incarico nella stessa chiesa di fare il Monumento sepolcrale del Conte Ugo di Toscana, che a detta di Vasari è da ritenere l’opera più bella di Mino. Il 10 luglio del 1484 egli fece testamento e morì l’11 luglio dello stesso anno.