
"L’indotto rischia di esplodere" In 400 gravitano intorno al colosso Sale l’allarme: "Siamo tutti in bilico"
di Lucia Bigozzi
Fuori dalla fabbrica occupata c’è un mondo. È fatto di aziende artigiane, piccole e medie, cresciute al’ombra di Fimer e nel tempo potenziate con investimenti in nuove tecnologie e formazione. I numeri: oltre un centinaio di imprese dove lavorano circa quattrocento persone, tra tecnici e operai specializzati. Tutti, qui, camminano sullo stesso filo del rasoio dove sono costretti a muoversi i 280 operai dello stabilimento di Terranuova. "Sono nato professionalmente con la Magnetek nell’88 e da esterno ho attraversato tutte le evoluzioni della fabbrica", dice Daniele Beligni, titolare insieme al socio della Cpf Automation, azienda specializzata in attrezzature di collaudo per prodotti elettronici, finita nell’elenco dei creditori con il concordato del 2021 e ancora in attesa di ricevere da Fimer "qualche centinaio di migliaia di euro". Conosce come le sue tasche l’indotto valdarnese e nel ruolo di presidente territoriale di Confartigianato lancia l’allarme sul rischio di un default della filiera che per la vallata aretina si trasformerebbe in una "bomba sociale". Un grido d’allarme raccolto e rilanciato dal presidente aretino dell’associazione di categoria Maurizio Baldi, titolare di un’impresa e in passato tra i fornitori di Fimer.
"Gli imprenditori sono molto preoccupati. Buona parte di quelli che lavorano con Fimer hanno esposizioni finanziarie importanti perchè devono ancora incassare il corrispettivo degli ordini. È un problema grave e urgente perchè dopo l’impatto della pandemia e della guerra in Ucraina, il contraccolpo di questa crisi rischia di mettere in ginocchio un sistema che negli ultimi anni ha già dovuto affrontare riduzioni di organico e ridimensionamenti, con la perdita di forza lavoro".
Il fenomeno della "migrazione" verso altre aziende aretine e pure fuori provincia, è in movimento e c’è perfino il paradosso di "tecnici di livello che vanno a fare i magazzinieri" osserva Beligni. Conosce il valore della formazione e aggiunge: "Per preparare un tecnico servono anni di impegno". L’aupsicio, rimarca Baldi, è che il 14 giugno, data monstre per il futuro dello stabilimento e dell’indotto con l’udienza decisiva in tribunale, "vengano incaricate persone competenti che possano risollevare lo stabilimento e riportare la serenità ai dipendenti e alla filiera dell’indotto".
È la boccata di ossigeno che qui, tutti aspettano nei giorni bui dell’incertezza. "Lavoro da molti anni per lo stabilimento di Terranuova e ho attraversato le sue evoluzioni: dal laboratorio esterno creato dall’allora proprietà per attrezzature di collaudo, fino al 2011 quando con il mio socio ho aperto questa impresa che fino a poco fa aveva in Fimer uno dei committenti principali, fortunatamente non l’unico. Negli anni ci hanno chiesto la creazione di un centro riparazioni dei loro prodotti ma quando è arrivata la crisi è cambiato tutto".
Dal giorno in cui è saltato l’ accordo tra Fimer e Greybull Mc Laren, Beligni ha tagliato il cordone ombelicale e tuttavia resta appeso al credito da riscuotere. "C’è sempre stato un filo di collaborazione con lo stabilimento di Terranuova sperando nella ripartenza ma ora lo abbiamo interrotto: la titubanza della proprietà non ci piace e non ci dà speranze per il futuro". Dentro la fabbrica occupata gli operai difendono il lavoro; fuori, c’è paura per l’effetto valanga che potrebbe abbattersi su altre aziende e altre famiglie.