LUCA
Cronaca

La nascita del Comune . Lo statuto del 1536 dettò le prime regole della convivenza civile

A quasi 500 anni di distanza la Società Storica Aretina ha deciso di ripubblicarlo. La tiratura sarà sempre di cento copie come avvenne per la prima edizione. .

A quasi 500 anni di distanza la Società Storica Aretina ha deciso di ripubblicarlo. La tiratura sarà sempre di cento copie come avvenne per la prima edizione. .

A quasi 500 anni di distanza la Società Storica Aretina ha deciso di ripubblicarlo. La tiratura sarà sempre di cento copie come avvenne per la prima edizione. .

Luca

Berti

Fin dalle lontane origini basso medievali i Comuni iniziarono a raccogliere la normativa locale, via via emanata dai vari organi preposti, in un testo legislativo definito “Libro degli Statuti” che veniva continuamente aggiornato. Sappiamo con certezza che questa prassi era in uso anche ad Arezzo – dove il Comune appare operante almeno dal 1098 – benché la normativa statutaria anteriore al 1327 sia andata irrimediabilmente perduta. In tutto, ci sono giunte otto redazioni risalenti: quattro alla prima metà del Trecento ed altre quattro al Cinquecento. Poi l’attività statutaria si è progressivamente inaridita, soppiantata da quella di matrice per così dire ‘governativa’, nel caso toscano proveniente da Firenze e dai sovrani di Casa Medici.

Usando la terminologia moderna, e semplificando, lo Statuto cittadino può configurarsi ad un tempo come un testo costituzionale, un codice penale e civile e di procedura penale e civile, una legge sull’ordinamento comunale, una summa dei tanti regolamenti municipali che oggi regolano tanti aspetti della vita comunitaria. Uno degli otto Statuti di Arezzo fu elaborato nel quarto decennio del Cinquecento e dato alle stampe nel 1535-1536 da un tipografo ambulante senese, Callisto di Simeone detto il Rosso, fatto appositamente venire in una città che era ancora priva di una “officina” tipografica. Si tratta del primo Statuto composto con i caratteri mobili nell’ambito del territorio soggetto a Firenze, ma anche molto probabilmente del primo libro stampato ad Arezzo. Alla base del nuovo testo c’è una duplice esigenza. Tramite la sua redazione, si cerca di mettere la normativa locale al riparo dalle ingerenze del principe, presenti e future, e nello stesso tempo si vuole istituzionalizzare la supremazia conseguita dal notabilato cittadino sugli altri ceti urbani. A compiere questo passo, a quasi due secoli di distanza dalla stesura dell’ultimo Statuto, il ceto dirigente di Arezzo è spinto dalla instaurazione del principato nella Dominante con la nomina di Alessandro dei Medici a duca di Firenze per mano dell’imperatore Carlo quinto. Visti fallire i tentativi di recuperare l’indipendenza del 1502 e del 1529-1530, i governanti della città riconoscono il primato di Firenze, ottenendo in cambio di poter gestire con una certa autonomia gli affari interni, ivi compresi quelli relativi alla fiscalità e alla mobilità sociale di cui divengono gli esclusivi controllori. E d’altronde la posizione di preminenza conseguita dalla Casa dei Medici, con la quale erano stati instaurati già nel corso del Quattrocento reciproci rapporti clientelari, rappresenta in certo qual modo il male minore, visto il rigore sperimentato dagli aretini nei propri confronti ai tempi della Repubblica fiorentina. Articolato in quattro libri e in circa 200 rubriche, lo Statuto del 1536 fu stampato in cento esemplari e posto in vendita al prezzo di una lira e quindici soldi.

A quasi 500 anni di distanza la Società storica aretina ne ha deciso la ripubblicazione con una tiratura sempre di cento copie, che sono già in vendita nelle librerie della città. La riedizione è stata curata da Alarico Barbagli, docente di Storia del Diritto medievale e moderno nell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro, oltre che socio del sodalizio. Si tratta del terzo volume della collana “Fonti di storia aretina”, nella quale sono già apparsi lo Statuto del 1337 pubblicato per la prima volta a cura di Valeria Capelli e la riedizione in copia anastatica del quarto tomo dei “Documenti per la storia della città di Arezzo nel medio evo” pubblicato da Ubaldo Pasqui nel 1904. Con la riedizione dello Statuto del 1536 la Società storica ha voluto incentivare gli studi sulla storia della città di Arezzo, facilitando la circolazione e la fruizione di un testo di fondamentale importanza. L’edizione originale del 1536 è infatti scritta in caratteri gotici ed è disseminata di quelle abbreviazioni paleografiche retaggio del tempo in cui i testi venivano scritti a mano; due circostanze queste che ne rendono disagevole la lettura anche per gli addetti ai lavori. Resta, inevitabilmente, lo scoglio della lingua latina che veniva ancora usata in pieno Cinquecento per i testi di natura giuridica. In compenso aiutano il lettore le tre introduzioni storiche che aprono il volume, integrandosi l’una con l’altra: di carattere giuridico quella del curatore Alarico Barbagli, di carattere politico-istituzionale quella dovuta a Luca Berti, direttore della collana, e di carattere bibliografico quella dovuta a Piero Scapecchi, già funzionario della Biblioteca nazionale di Firenze.

Quanto ai contenuti, in linea di massima lo Statuto delinea nel primo libro compiti e attribuzioni delle magistrature che governano la città, sia di emanazione fiorentina (capitano e podestà), sia locale: priori, collegi e consiglio generale, ma anche gli innumerevoli uffici specialistici municipali. Il secondo libro è dedicato al ‘diritto civile’ e getta quindi luce su materie come contratti, affitti, matrimoni, doti e successioni. Il terzo è dedicato al ‘diritto penale’ o ‘criminale’, con le pene per omicidi, ferimenti, aggressioni, risse, furti, oltre che alla disciplina dei mestieri artigiani. Il quarto si occupa infine del cosiddetto “danno dato”, ossia dei piccoli reati contro la proprietà rurale, e si chiude con le norme sull’applicazione dello Statuto stesso.