
Emilio
Gentile
Nel 1912 il ventenne Adolfo Omodeo, studioso assennato, scriveva alla fidanzata: “tutto bisognerebbe rifondare, tutto riunire in una profonda volontà che tutto abbracci che tutto vincoli in cui tutto converga: creare la patria nuova anche con la fiaccola della guerra civile”. Tre anni dopo, nel maggio 1915, D’Annunzio eccitava il popolo romano a linciare il neutralista Giolitti: “Col bastone e col ceffone, con la pedata e col pugno … formatevi in pattuglie civiche, e fate la ronda, ponetevi alla post per pigliarli, per catturarli … ogni buon cittadino è soldato contro il nemico interno senza tregua, senza quartiere. Se anche il sangue corra, tal sangue sia benedetto come quello versato nelle trincee”. E la guerra fu. Non fu guerra civile fra cittadini dello stesso Stato, che combattono armati gli uni contro gli altri per conquistare il potere, ma fu una guerra fra Stati per l’egemonia nel mondo. L’Italia partecipò e vinse, ma subito fu agitata da nuove fiaccole di guerra civile.
Il 1 giugno 1919, Antonio Gramsci scriveva: “È l’inizio del dissolversi della società…denti di drago vengono seminati tra gli uomini e ne giganteggiano le passioni frenetiche, gli odi incolmabili, gli antagonismi irriducibili. Ogni cittadino è un gladiatore, che vede, negli altri, nemici da abbattere o da sottomettere ai suoi interessi”. E pochi giorni dopo aggiungeva: “La dittatura proletaria deve, per sua necessità, assumere un carattere accentuato militare” per affrontare “la necessità crudele di imporre con la forza armata la disciplina e la fedeltà, di sopprimere una parte per salvare il corpo sociale dallo sfacelo e dalla depravazione”.
Il 21 settembre 1919 Anna Kuliscioff scriveva a Filippo Turati, commentando “la follia criminale di D’Annunzio” che aveva occupato Fiume incitando l’esercito alla sedizione: “L’appello al Veneto e alla Lombardia del D’Annunzio sono prime avvisaglie di una guerra civile, ch’egli qualifica come rivoluzione”. Anche Gramsci, il 4 ottobre 1919, affermava che “il gesto letterario ha dato inizio alla guerra civile”, perché “la disciplina armata al potere del governo di Fiume viene contrapposta alla disciplina legale del governo di Roma”.
Nel corso dei successivi quattordici mesi, i massimalisti incitarono il proletario alla rivoluzione sul modello leninista, cioè la guerra civile fino alla eliminazione della borghesia. In quel periodo, il socialista indipendente Arturo Labriola lamentò che anche fra i reduci socialisti era invalsa “l’abitudine di menar le mani e il disprezzo della vita, la propria e quelle altrui. … Qua e là ufficiali vennero percorsi e costretti ad uscire dalla circolazione. A Torino un colonnello venne ‘reiteratamente accoltellato’; … a Milano è ucciso un carabiniere … Sono numerosi gli attentati contro gli ufficiali”.
Riflettendo nel 1926 sugli avvenimenti fra il 1919 e il 1920 Pietro Nenni commentava: “Crescevano così di pari passo, due minacce: la minaccia proletaria di prendere alla gola la classe dirigente e di obbligarla a mantenere le promesse fatte durante la guerra e a pagare; la minaccia borghese di fare tabula rasa della sua stessa legalità pur di stroncare la organizzazione di classe. La lotta di classe sfociava nella guerra civile”. Il 4 maggio 1920, Anna scriveva: “Sono dopo la lettura dei giornali di stamattina, come sotto un incubo rosso dal delinearsi della guerra civile in tutta Italia. Socialisti ammazzano cattolici, in Romagna pugilati fra socialisti e repubblicani, in Liguria tafferugli tra socialisti e anarchici, e dappertutto morti e feriti in conflitti sanguinosi con guardie regi e carabinieri”.
Nella lettera può sorprendere l’assenza di un riferimento alle violenze fasciste. In realtà, nel marzo del 1920, nonostante gli atti di violenza già compiuti contro gli avversari, come fu l’incendio dell’“Avanti!” a Milano il 15 aprile 1919, il fascismo era un movimento marginale nella scena politica italiana, con qualche migliaio di iscritti. Invece era quasi ventimila alla fine del 1920, quando, di fronte alla crisi scissionista del partito socialista e all’esaurimento delle agitazioni rivoluzionarie dei massimalisti, i fascisti colsero l’occasione per scatenare una guerra civile condotta con squadre militarmente organizzate e armate. Alla vigilia dell’offensiva dello squadrismo, il 16 ottobre 1920 l’organo ufficiale “Il Fascio” annunciava: “Se la guerra civile ha da essere, ebbene sia!”, incitando i fascisti ad una “lotta mortale, sempre più risolutamente in armi, disposti a sempre più furibondi combattimenti, senza nessuno scrupolo, senza alcun limite.”
Da quel momento, la violenza squadrista condusse una propria guerra civile contro le organizzazioni politiche e sindacali del proletariato, e contro le amministrazioni comunali e provinciali socialista. Poi, proseguì contro tutti gli altri avversari. La guerra civile in stile fascista fu una novità non solo in Italia, ma in tutta l’Europa democratica. Mai, in Italia, la violenza massimalista aveva avuto come bersaglio sistematico giornali, sedi di partito, abitazioni, organizzazioni, società o associazioni dei borghesi. Gli stessi fascisti riconobbero, con vanto, di essersi aperta la via al potere con la guerra civile.
Nel decennio fra il 1912 e il 1922, come ho cercato di raccontare ne La Grande Italia (Laterza 1997) e in Fascismo e antifascismo (Le Monnier 2000), l’Italia visse in una situazione di guerra civile: invocata, minacciata, predicata da più parto, e infine praticata con successo dai fascisti, che la resero addirittura un fatto istituzionale instaurando il regime totalitario, cioè un regime in stato di guerra permanente contro tutti i cittadini che non si sottomettono al suo potere. Anche gli antifascisti si considerarono fino al 1945 in guerra civile contro i fascisti: “Oggi in Spagna, domani in Italia”. Finchè i fascisti furono definitivamente disfatti in un’altra e più feroce guerra civile, da essi provocata. Ma che si concluse, per il popolo italiano, con la riconquista della libertà e il diritto eleggere i governanti.
L’adozione del termine di guerra civile, nel mio racconto della storia, non deriva da una mia interpretazione di cosa è veramente la guerra civile, ma deriva da come la intendevano i protagonisti, aggressori e aggrediti, della storia che racconto. Se dico che la Terra è una sfera non perfettamente sferica, questa non è una mia interpretazione, ma è la descrizione della Terra come risulta all’osservazione. Che per lo storico, sono i documenti.