LUCA AMODIO
Cronaca

Il giudizio di Cassazione post mortem. Sacchini non aveva diritto allo stipendio

L’ex presidente del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi aveva incassato 33 mila euro di indennità anche se l’incarico era gratuito. La decisione della Suprema Corte arrivata cinque anni dopo il decesso.

Gli ermellini della Corte di Cassazione hanno chiuso una vicenda lunga 15 anni

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Per tredici mesi ha ricevuto regolarmente un bonifico. Tutto in ordine, tutto tracciabile. O almeno così sembrava. Luigi Sacchini, scomparso nel 2020 a soli 64 anni, era presidente del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi. Negli anni ’90 aveva ricoperto anche l’incarico di assessore all’Ambiente del Comune di Arezzo. Dal giugno 2010 al dicembre 2011, nell’esercizio della sua funzione al vertice del Parco, incassò un totale di 33.745 euro di indennità. Una somma legata alla responsabilità della carica, a incontri istituzionali, riunioni, atti amministrativi. Solo che, a sua insaputa, quel ruolo, nel frattempo, era diventato privo di retribuzione. Un decreto legge del 2010 aveva infatti reso onorifici gli incarichi negli enti pubblici non economici. Tradotto: niente stipendio. Ma Sacchini non ne fu informato. Nessuno comunicò il cambiamento. L’Ente continuò a pagare. E lui continuò a lavorare. Poi, diversi anni dopo, la doccia fredda: un controllo evidenziò l’irregolarità nei compensi e l’Ente chiese la restituzione dell’intera somma. Sacchini si oppose, sostenendo la buona fede e il legittimo affidamento sulla regolarità dei pagamenti. Partì così una lunga vicenda giudiziaria: il Tar si dichiarò incompetente, il tribunale civile gli diede ragione, ma la Corte d’Appello ribaltò la decisione. E infine arrivò il ricorso in Cassazione.

Luigi Sacchini, come detto, è scomparso nel maggio del 2020. Ma la causa è andata avanti comunque. E si è chiusa solo nel marzo 2025, a quasi nove anni dalla richiesta di rimborso da parte dell’ente e a quindici anni dai primi bonifici contestati. La suprema corte ha confermato in via definitiva che quei soldi non spettavano. Ha riconosciuto che Sacchini non aveva agito con dolo, né vi era stata alcuna frode. Ma ha stabilito che la buona fede non è sufficiente per trattenere somme erogate in violazione della legge.

Per i giudici, la norma era chiara fin dall’inizio: a partire dal 31 maggio 2010, la funzione di presidente del Parco era da considerarsi gratuita. E i pagamenti successivi, anche se effettuati dall’Ente, non erano legittimi. Nessuna responsabilità penale, dunque, ma un vincolo di restituzione fondato sul principio civilistico dell’indebito oggettivo. Ora, salvo rinunce formali o limitazioni di responsabilità, toccherà con ogni probabilità agli eredi farsi carico della restituzione dei 33mila euro.

L.A.