
di Salvatore Mannino
Erano i Rockerduck della droga ma erano soprattutto l’anello che mancava nella ricostruzione del mercato della droga. Quello dello spaccio all’ingrosso, del traffico sul larga scala che sta a monte della cesione al minuto, dei pusher di strada, in particolare quelli che da anni ne hanno il controllo, i ragazzoni di colore che vendono nella giungla d’asfalto, da Campo di Marte al Pionta. La maxi-operazione allestita dai carabinieri in circa due anni di indagine consente dunque di mettere insieme uno spaccato del quale si è sempre sospettato e parlato ma su cui finora raramente si erano trovate prove concrete. Proviamo a capire.
Lo spaccio è come una torta a più strati. Quello di base, il più facile da colpire ma anche il più difficile per il quale trovare un contrasto vero, visto che quasi sempre si resta nell’ambito del quinto comma della legge antidroga, quello della nodica quantità per la quale non c’è il carcere, lo hanno in mano i nigeriani e le altre etnie dell’Africa profonda arrivati fin qui con le varie ondate dell’immigrazione più recente. Uno spazio in tale ambito se lo sono ritagliati i magrebini, che prima avevano loro il controllo dello spaccio di strada ma che poi si sono progressivamente ritirati, sotto l’incalzare degli altri africani, in territori più ristretti, come quello dei giardini del Porcinai, dove i pusher al minuto sono ancora in gran parte loro.
Al livello superiore (ed ecco il significato del blitz di venerdì) ci sono gli albanesi: vent’anni fa avevano cominciato pure loro dalla strada, ma col passare del tempo si sono imborghesiti, per così dire: troppo faticoso vendere al minuto e anche troppo rischioso. Meglio avere in mano i canali di rifornimento, della coca, dell’eroina e anche della marjuana. Era questo appunto il ruolo di molti dei tredici che sono finiti in manette l’altro ieri all’alba.
Schematizzando, dunque, si può ipotizzare una catena che parte dai produttori (il Medio Oriente per l’eroina, il Sudamerica, in particolare la Colombia, per la coca), approda nei porti di Napoli e Gioia Tauro, i grandi terminal di smistamento degli stupefacenti, sottoposti al ferreo potere della camorra e ancor di più della ’Ndrangheta, passa appunto per i grossisti che si riforniscono in quantità importanti dai canali sopraddetti e giunge infine fino allo spaccio di strada, il più pericoloso per chi si mette negli affari sporchi perchè è più facile essere individuati, e anche il meno redditizio, visto che i margini di guadagno sono ridotti, dalla concorrenza e anche dall’avidità dei grossisti, che comprano relativamente a poco e rivendono caro. Lo dimostra anche quest’ultima inchiesta: 30-40 euro il prezzo al secondo livello, 70-80 al consumatore finale.
In realtà, le cose sono un tantino più complicate. Perchè il mercato è più anarchico di quanto non possa apparire a prima vista e ognuno ha i suoi canali. Non ci sono dunque solo gli albanesi, dai quali i pusher di strada compravano come in un cash and carry. I magrebini hanno i loro canali e anche i ragazzoni di colore, che possono contare sulla crescita della mafia nigeriana, ormai una potenza autonoma, che non dipende da nessuno.
Per strada, quindi, arriva droga di varia provenienza, il che origina una convivenza non sempre facile fra le gang che si dividono il territorio. Ecco dunque le risse di strada fra gli spacciatori, di cui si lamentano i residenti di Campo di Marte, ecco gli scontri etnici come quello del Ferragosto 2018 a Saione, ecco le guerre del passato fra le bande di albanesi, che sfociarono nella sparatoria dell’Orciolaia, via Torricelli, del marzo 2009 e in quella di Ponte alla Chiassa, di un paio di mesi precedente. Ma da anni le pistole tacciono. La spartizione del mercato e la divsione del lavoro criminale funzionano. Almeno fino a quando non arrivano polizia e carabinieri.