
I 30 anni che cambiarono il mondo aretino. Dall’asse Pci-Psi allo sbarco del centrodestra
Repek
Una politica a 3 velocità quella aretina. Dal dopoguerra al 1990 si muove lenta, impermeabile alle novità nazionali, come il centro sinistra dell’epoca Psi-Dc.
È una politica che si basa sull’alleanza Pci-Psi e che è incarnata da Aldo Ducci con un partito comunista troppo robusto per essere cacciato all’opposizione ma non sufficientemente forte da esprimere la leadership della città. Tra il 1990 e il 1995, anche sulla spinta di Variantopoli ma soprattutto sulla base delle trasformazioni economiche e sociali della provincia, la velocità aumenta.
È una fase nella quale ci si prepara a cambiare marcia: i partiti mutano nome e sostanza, si sperimenta una Giunta con sinistra storica, Pri e Verdi.
Valdo Vannucci è il sindaco di questa transizione: ultimo del Psi, ultimo dirigente di un partito. Poi, tra il 1995 e il 1999, ecco l’esordio di una Giunta di centro sinistra versione fine secolo: Paolo Ricci è il primo sindaco ex Dc ma è, soprattutto, il primo "tecnico" o della "società civile" come si diceva allora. Matura una rivoluzione che arriva a compimento nel 1999 con la vittoria del centro destra e di Luigi Lucherini. Gli anni successivi saranno frenetici.
Tra il 1999 e il 2015, inizio del primo mandato Ghinelli, accade di tutto: inchieste giudiziarie, consiglieri comunali arrestati, cambi di maggioranza, crisi, declino di vecchi gruppi dirigenti, stentata affermazione di nuovi. Un dato emerge sugli altri: la provincia aretina, rossa per definizione nella seconda metà del Novecento, in pochissimi anni cambia pelle e colore. Con poche eccezioni, passa dalla sinistra alla destra con il radicamento prima di Forza Italia e An-FdI e poi della Lega.
Si sviluppano ma non si affermano M5S e civismo. Il Pd annaspa alla ricerca di una nuova identità che non riesce a trovare nonostante il lampo accecante del renzismo. La sinistra radicale saluta.
Sullo sfondo crisi economica, povertà sociale, classi dirigenti che non si rinnovano. Imprenditori e sindacalisti che vedono sparire politici e istituzioni dai loro radar. Una storia complessa che spesso viene ridotta ed eccessivamente semplificata. Le frasi più ricorrenti sono state e sono relative alla qualità del candidato, alla sconfitta o alla vittoria per una manciata di voti e, perchè no, al destino cinico e baro.
In realtà la politica aretina ha una storia lineare, nella quale nulla avviene per caso e anche i colpi di (s)fortuna hanno una motivazione. Il 1999, ad esempio, non è il frutto esclusivo della candidatura di Lucherini e del disorientamento e della presunzione dei partiti di massa del Novecento.
Solo i titoli: crisi del manifatturiero e fine della tradizionale e convinta base elettorale della sinistra; crollo dei partiti del Novecento dopo il Muro di Berlino e dopo Tangentopoli; crisi culturale e ideale del paese; passaggio della politica da partecipati movimenti di massa a gruppi di sostegno a leader che hanno stagioni sempre più brevi. Potremmo ricordare l’invecchiamento della popolazione e una classe dirigente politica sempre più anziana e quindi in difficoltà a immaginare e praticare nuove strategie politiche.
Tutto questo non inizia nel 1999. Impossibile individuare una data esatta di avvio ma possiamo utilizzare il 1985 come anno che chiude, al dà della volontà dei protagonsiti e del risultato elettorale, la prima fase della politica aretina della seconda metà del Novecento.
Aldo Ducci vince – anche se non lo sa ancora – per la sua ultima volta. Vasco Giannotti e il Pci perdono – e lo sanno – nel loro primo e unico tentativo di dare ad Arezzo un sindaco comunista. L’illusione pericolosa di Pci e Psi è che tutto possa comunque continuare come prima. Non sarà così.
Ci penseranno gli eventi nazionali e internazionali ricordati, la fine fisiologica dei partiti del Novecento, l’incapacità o forse l’impossibilità di immaginare una nuova politica, nuovi partiti, diverse forme di partecipazione.
Gli esiti non saranno solo e soltanto di natura partitica ma, soprattutto, politica: la desertificazione delle sedi dei partiti e la rarefazione delle presenze nelle cabine elettorali. In questo contesto, il centro destra è più rapido nell’intuire i cambiamenti. Tenta di mantenere stretto il legame con la società, valorizza le liste civiche anche facendo un passo indietro, prova a costruire una sua nuova classe dirigente. Il centro sinistra, da parte sua, continua la parabola discendente in attesa del naturale e inevitabile cambio di ciclo politico.
Rileggere gli ultimi decenni della storia politica aretina – come è stato fatto nel libro Ombre rosse - può aiutare a capire cosa è realmente accaduto e, soprattutto, perché. Può contribuire a far accettare l’idea che la comunità va per una strada e che la politica, probabilmente, per un’altra.
E che una convergenza va ritrovata facendo alcune scelte basate su confronto, rispetto e gentilezza nella certezza che la scelta migliore non è – illusoriamente e pericolosamente - nelle tasca di uno solo. Tasca dove di solito non ci sono le risposte ai problemi delle persone più fragili e invisibili.