
Rassina
Arezzo, 6 giugno 2016 - Il cementificio di Rassina è un po' l'immagine della fuga dalle campagne e della nascita dell’industria in provincia. Gli anni dove prende corpo il volto economico della provincia, fatto di occasioni di lavoro e trasformazione della vita quotidiana di un tempo. In una foto che domani sarà in regalo con La Nazione.
A guardarlo con gli occhi dei vespisti del dopoguerra, sarebbe sembrato un traguardo impossibile appena dieci anni prima. Invece eccola, nella foto in regalo oggi con La Nazione, la targa Ar 50.000, consegnata ovviamente in una cerimonia con tutta la solennità del caso. Alla metà degli anni ’60 gli aretini vivono in pieno il clima di euforia del Boom e la motorizzazione di massa ne è insieme la causa e l’effetto.
La vettura di proprietà, il mezzo per spostarsi nei giorni feriali e per scoprire nuovi orizzonti in quelli di festa, insieme alla famiglia, è una sorta di padrona dell’epoca, una dea cui tutto è dovuto. Sorgono come funghi ad esempio i distributori di benzina per alimentare i motori.
Allora ce ne erano persino nel cuore del centro, come questo che vediamo (foto 1) in via Garibaldi all’angolo con via Guido Monaco, proprio sotto il Palazzo delle Poste.
Altri due sorgevano all’epoca ai lati della stazione e consentivano di fare facilmente il pieno lungo viali di scorrimento che erano assai meno trafficati di adesso. Le pompe nel cuore della città saranno poi tutte dismesse, a partire dalla fine degli anni ’70: qualcuno si trasferirà in periferia, altri chiuderanno proprio l’attività.
Del resto, le macchine erano così regine della cinta urbana che in via Roma e via Crispi (foto 2) non solo si parcheggiava sui due lati della strada, ma si circolava anche in doppio senso. In primo piano nell’immagine una Fiat 124, vettura di media cilindrata sogno del ceto medio degli anni ’60.
Ma è l'intera città città, non solo i guidatori, che è percorsa da una sorta di furia iconoclasta il cui maglio si abbatte su tutto quanto sembri vecchio. E’ il periodo della speculazione edilizia cavalcante. L’edificio del’albergo Graverini di via Guido Monaco (foto 3) resisterà fino agli anni ’70: ora al suo posto c’è il vetrocemento di una banca.
I colpi più pesanti toccano a Piazza San Iacopo come era e come non è più. L’antica chiesa (foto 4) sarà abbattuta senza pietà e senza rispetto per far posto al Palazzo Ex Upim. La piazza che ne nasce non ha la stessa grazia di quella perduta.
Intanto, il mercato ortofrutticolo (foto 5) si è trasferito a Pescaiola e anche la piena occupazione sfocia nella stagione dell’autunno caldo, quella delle grandi lotte sindacali.
Nella foto 6 uno dei tanti cortei dell’epoca: dipendenti della Sacfem. Ma qualcosa della tradizione resiste.
Ad esempio la «Ricciola», di cui vediamo il chiosco (foto 7) all’altezza dei Bastioni.
E’ uno dei personaggi caratteristici (come «L’Angiolina» o «L’uomo d’oro») di una stagione ormai tramontata per sempre.
di Salvatore Mannino