SALVATORE MANNINO
Cronaca

Febbre dell’oro, è boom dei lingotti

Anno da recordo (più 72%), male i gioielli ma c’è la ripresa dell’ultimo trimestre. La moda torna a volare

di Salvatore Mannino

E’ veramente la febbre dell’oro. Che sale a livelli tali da far toccare ad Arezzo un export in crescita del 24 per cento nell’anno più difficile, quello del Covid, in cui gli affari con l’estero, traino ormai dell’industria italiana, coi consumi interni che segnano il passo, marciano decisamente all’indietro. Vale per l’Italia e vale anche per la Toscana, che comunque contiene la perdita al meno 6 per vento. Non vale però in quella che in termini monetari è la seconda provincia in regione per valori assoluti (9 miliardi contro i 16 di Firenze) ma chepro-capite è di gran lunga la prima.

Sono i miracoli dei grandi raffinatori del metallo prezioso, le cinque sorelle, capitanate da Chimet, Italpreziosi e Tca, che non si sono mai fermate, nemmeno durante il lockdown di primavera, e che spingono l’export, soprattutto quello dei lingotti destinati alla Svizzera e al mercato dei beni rifugio, al più 72 per cento rispetto al 2019, che pure era stato un anno d’oro, e si scusi il gioco di parole. In valori reali sono 7,7 miliardi (2,2 nel quarto trimestre) che hanno preso la via degli scambi internazionali. E’ vero, come si affannano a precisare il presidente della Camera di Commercio (cui si deve l’elaborazione dei dati) Massimo Guasconi e il segretario Marco Randellini, che in parte la corsa sfrenata è drogata dall’aumento del prezzo della materia prima, ma il balzo in avanti è stato del 25 per cento, ben sotto dunque la crescita dell’export di oro puro in termini monetari.

C’è poi l’altra faccia del pianeta giallo, quella oscura dei gioielli prodotti dal principale distretto di lavorazione in Europa. Qui la caduta è robusta, persino eclatante, poco sotto il 30 per cento in meno, che in valori assoluti significa 1,5 miliardi, più o meno 500 milioni in meno. Anche qui però c’è un po’ di luce e viene dall’ultimo trimestre del 2020, quando la discesa si è ridotta all’1,5 per cento, di questi tempi è praticamente un pareggio che indica un buon principio di ripartenza dopo il periodo cupo del lockdown e anche i mesi difficili della prima parte dell’estate. Da agosto l’oreficeria ha ripreso a marciare e non si è fermata neppure con la seconda ondata del Covid, che pure è stata pesantissima per altri settori dell’economia.

Il distretto aretino perde meno della rivale Valenza (sotto del 44 per cento) ma più della terza capitale dei gioielli, Vicenza, che si ferma al 20 per cento di export perduto. Dei mercati principali, frana ancora Dubai, che va giù del 46 per cento, e crolla anche Hong Kong, con una debacle del 44 per cento. In controtendenza gli Stati Uniti dove l’export aretino cresce dell’1,5 per cento. E’ lo sbocco americano che tiene in piedi gli orafi, mentre in Medio Oriente va malissimo anche la Turchia, un tempo mercato emergente e ora sotto del 30 per cento.

I tenui segnali di ripartenza che si vedono per l’oreficeria diventano robusta ripresa per l’altra colonna portante della manifattura provinciale, ovvero la moda, che chiude a 890 milioni (490 nell’ultimo trimestre) con una crescita del 49 per cento. Vale per l’abbigliamento (65 per cento in più), per la pelletteria (52 per centro di aumento) e anche per le calzature (21 per cento di crescita). E l’effetto della ripresa del mercato del lusso che parte dall’Estremo Oriente e in particolare dalla Cina. Il loockdown qui pare un lontano ricordo, con il distretto di Prada, le aziende raccolte attorno al gigante griffato, che fa la parte del leone.