Ex Banca Etruria, il crac presenta il conto: i Pm chiedono condanne per 64 anni

La pena più alta sollecitata per Rigotti (6 e 6 mesi). A seguire Guerrini e Baiocchi ( 5 e 4 mesi). Inghirami a 4,9. Federici (Sacci) a 4 e Rosi a 3,9

LA PROTESTA IN PIAZZA_13378098_034814

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Arezzo, 14 maggio 2021 - Uno degli imputati eccellenti della bancarotta Etruria dice dopo, fra il sincero e il sarcastico, che si aspettava di peggio. Il che non toglie che il conto presentato dalla procura per il crac di quella che fu la banca degli aretini e di cui, dopo le fusioni, non resta quasi niente sia ugualmente pesante (64 anni totali e spiccioli). Meno pesante di quanto si potesse paventare se il termine di paragone era il crac di Eutelia, ma le pene più alte che i Pm Julia Maggiore e Angela Masiello chiedono al termine della loro requisitoria nel maxi-processo sono di quelle per le quali si può finire in galera.

E sarebbe il suggello più drammatico di quel Macbeth in salsa aretina che è stata la Grande Tragedia di via Calamandrei, una banca inghiottita da un buco nero. Il prezzo più alto lo paga Alberto Rigotti, il finanziere milanesetrentino che il carcere l’ha già conosciuto per il crac del suo gruppo editoriale on line e che è accusato da ex consigliere di amministrazione di aver provocato alla banca sofferenze per oltre venti milioni: sei anni e mezzo la richiesta della procura.

Sempre tanti, ma per Samuele Landi la condanna fu a nove anni. In questo caso pesa che la bancarotta contestata sia un reato collegiale e non di un singolo manager spregiudicato e conta anche che tutti gli accusati Vip fossero incensurati, a tiro delle attenuanti generiche. A congrua distanza, e sempre nel novero delle pene che si scontano dentro, ci sono le richieste per Giorgio Guerrini, già vicepresidente di Giuseppe Fornasari, e Umberto Baiocchi Di Silvestri già dirigente di alto livello: 5 anni e quattro mesi ciascuno.

Tutti e due sono coinvolti nel più pittoresco e inquietante dei prestiti ammalorati, quello per lo Yacht Etruria che resta ad arrugginirsi nel cantiere di Civitavecchia. Probabilmente anche quello contribuisce alla valutazione della procura, pur se l’amministratore e il manager avevano altri capi di accusa. L’altro vicepresidente dell’epoca Fornasari, Giovanni Inghirami, va incontro anche lui a una requisitoria che fa male: 4 anni e 9 mesi, per una serie di accuse leggermente inferiore.

A quota quattro anni si ferma Augusto Federici, pure lui ex consigliere destinatario come gran capo dei cementifici Sacci di un finanziamento in conflitto di interessi che è la madre di tutte le sofferenze: 60 milioni mai restituiti, come buttarli nel forno. Paga pegno pure Lorenzo Rosi, l’ultimo presidente, che in questa sede rispondeva però soltanto del prestito all’outlet di Città Sant’Angelo, in conflitto di interessi quando era alla guida della Coop Castelnuovese, e della liquidazione dell’ex Dg Luca Bronchi.

Quanto basta perchè le Pm gli propongano tre anni e nove mesi. E’ in pratica l’ecatombe di quella che fu la classe dirigente di Etruria, confermata dai tre anni a Paolo Fumi, il direttore della sede romana che si occupò dell’Affaire Yacht, e soprattutto dalla mazzata che cade addosso ai sindaci revisori più longevi, quelli che per essere rimasti in carica a lungo si sono vista cotestare l’omessa sorveglianza su molte pratiche di fido.

Mario Badiali, Saro Lo Presti e Franco Cerini, fra i più noti commercialisti cittadini, si trovano a dover rispondere di richieste di pena tutte sopra i tre anni di qualche mese. Va meglio all’ultimo presidente dei revisori, quel Massimo Tezzon che veniva direttamente da Consob: un anno e mezzo. E qui siamo già nell’ambito delle pene minori, sollecitate anche per altri grandi nomi dell’imprenditoria aretina che sedettero nel salotto buono del Cda di Bpel. A cominciare da Laura Del Tongo che se la cava con la richiesta di un anno.

La requisitoria di Maggiore e Masiello, che si dividono i capi di imputazione, va avanti per oltre due ore, con una puntigliosa ricapitolazione dei principali finanziamenti finiti nel mirino, compresa, oltre a quelli già ricordati, della Villa San Carlo Borromeo del guru Armando Verdiglione, un’altra ventina di milioni in fumo, per un totale di circa 200 ricompresi nei capi di imputazione, che coprono tutte le lettere dell’alfabeto. Davvero la fine