
di Salvatore Mannino
Alle 20 di un sabato di luglio da grande esodo, l’area di servizio Verghereto della E45, sullo spartiacque del confine con la Toscana, è l’immagine stessa della desolazione. Dalle porte dell’Autogrill spunta a malapena qualche luce che spezza il crepuscolo incipiente delle pompe di benzina ormai abbandonate dagli addetti, intorno non si vede nessuno. L’albergo ristorante che un tempo era un punto di riferimento per quanto utilizzavano questa via alternativa di collegamento fra centro e nord della penisola, è sbarrato, buio come la notte che cala. Messo in ginocchio, probabilmente, prima ancora che dal Covid dalle vicissitudini infinite di questa mulattiera teoricamente a quattro corsie. Teoricamente appunto, perchè poi vedremo che la realtà è molto peggiore. La rampa d’accesso in direzione Arezzo, Perugia e Roma è un viottolo quasi invisibile: chi lo imbocca ha l’impressione di andare dal niente verso il niente.
La metafora perfetta, questa area di servizio di una superstrada che doveva diventare la prima interamente digitale d’Italia e che invece sembra la strada di Cristo si è fermato a Eboli, anche se Eboli si chiama Cesena per chi viene da Arezzo o Sansepolcro per chi al contrario arriva dalla Romagna. Perchè la realtà è ben diversa dal libro dei sogni che a suo tempo era stata squadernata da Anas e che magari sarà anche il futuro ma intanto è un presente drammatico come non lo è stato mai.
Di inchieste giornalistiche sulla E45 ne sono state fatte a bizzeffe, se è per questo anche di inchieste delle procure competenti, sfociate in almeno un paio di processi: fondo sconnesso, pilastri pericolanti, viadotti come il Puleto o il Tevere IV che erano a rischio, ma il quadro della situazione non è mai stato pesante come in questa estate 2021, se non forse ai tempi in cui la superstrada fu chiusa per qualche settimana (qualche mese per i Tir) dopo il sequestro del Puleto. Basta addentrarsi nell’inferno della mulattiera (di nome e di fatto) dall’ingresso di Sansepolcro. Due chilometri di tappeto d’asfalto liscio come un tavolo da biliardo al posto dell’unico cantiere ormai finito e poi il caos. Da Sansepolcro nord a Bagno di Romagna il percorso si snoda a corsia unica, con l’eccezione di qualche centinaio di metri all’altezza di Pieve Santo Stefano. In pratica tutto il tratto toscano, costellato da una serie così fitta di lavori da diventare un cantiere unico. Fino a San Piero in Bagno, già Romagna piena, dove per qualche giorno (ma il problema adesso è stato risolto) si veniva proprio espulsi dalla superstrada e proiettati su una vecchia provinciale fino a Sarsina che non deve essere cambiata molto dai tempi del Granduca e del Papa Re. E’ proprio il caso di dire come il nome del comitato che si è fatto una fama raccontanto le magagne: vergogna E45.
Il mare della riviera adriatica per chi si ritrova tra Sansepolcro, Verghereto e Bagno è davvero un miraggio. Anche perchè pure intorno a Cesena la corsia unica esterna in sud e in nord, con i megacantieri nel mezzo è la regola. Ma Sant’Iddio: proprio a luglio e agosto si dovevano organizzare i lavori, invece di anticiparli a primavera o posticiparli all’autunno? Chi è che all’Anas programma la ristrutturazione?
Il tragitto Cesena-Arezzo è altrettanto difficile. Basta un Tir davanti per mettere tutti in fila. Ce n’è uno, una bisarca, che blocca il deflusso da San Piero in Bagno a Sansepolcro. Impossibile sorpassare. Si sta in coda a 40 all’ora sperando in tempi migliori. Verranno mai?