GAIA PAPI
Cronaca

Donati: "I miei 70 anni a cucire eleganza"

Premio alla carriera al noto sarto aretino che sta per festeggiare il traguardo: "Grande orgoglio"

Carlo Donati nel suo laboratorio mentre realizza una giacca. A Sanremo ha ricevuto un premio alla carriera

Carlo Donati nel suo laboratorio mentre realizza una giacca. A Sanremo ha ricevuto un premio alla carriera

Settant’anni di lavoro e ricerca di bellezza. A Sanremo, Carlo Donati ha ricevuto il Premio Festival dell’Alta Sartoria Ecosostenibile 2025, con una targa alla carriera. Lo abbiamo incontrato per ripercorrere insieme una vita passata tra stoffe, tagli impeccabili e una visione sempre attenta alla sostenibilità della filiera.

Donati, partiamo dal premio. Che emozione ha provato a ricevere un riconoscimento così importante a Sanremo?

"Una grande soddisfazione. È stata la conferma di un percorso iniziato da ragazzino, quando a 14 anni sono entrato nella sartoria Argento in via Roma. Sei anni intensi, dieci ore al giorno, sei giorni a settimana. Oggi tanti giovani credono che tutto sia facile ma non è così. Per imparare un mestiere serve sacrificio, impegno costante, passione. Questo premio lo dedico proprio al lavoro quotidiano e alla forza di credere sempre in quello che si fa".

Lei racconta spesso di quel periodo di apprendistato come la vera "scuola della vita".

"È stato tutto. Lì ho imparato il taglio, la preparazione, la disciplina. Nel 1956, a 20 anni, grazie all’atto di emancipazione di mio padre, sono diventato artigiano a tutti gli effetti e ho iniziato la mia attività. Prima in piccolo, poi con una sartoria più grande, fino ad arrivare nel 1984 al negozio in piazza Risorgimento, che è ancora oggi il cuore del mio lavoro. Sempre con il sostegno di mia moglie, che è stata fondamentale".

Settant’anni di carriera, il prossimo gennaio: come si mantiene viva la passione?

"Con la curiosità. Fin dall’inizio ho voluto imparare da chi ne sapeva più di me. Ero affascinato dai clienti importanti, professionisti e imprenditori che parlavano di economia, cultura, società. Io ascoltavo e capivo che per crescere dovevo andare oltre la bottega. Ho fatto il corista per dieci anni, ho ricoperto incarichi in Confartigianato e in Camera di Commercio, sempre con l’idea che il mondo cambia e bisogna capirlo per portare avanti il proprio mestiere".

Ha vestito uomini famosi, ha sfilato a Sanremo, Milano, Londra. C’è un abito che ricorda più degli altri?

"Difficile dirne uno solo. Certo, confezionare tight e frac per matrimoni importanti resta un ricordo vivo, così come gli abiti per personaggi del calcio e del lavoro. E poi le sfilate a Sanremo, negli anni ’70 e ’80: dodici anni al Festival della moda maschile, che all’epoca era prestigioso quanto quello della canzone. Essere accanto ai grandi della sartoria italiana mi ha dato la spinta per continuare con orgoglio".

Qual è la sua idea di eleganza?

"Oggi si è un po’ persa. Si vedono sneaker abbinate a smoking… Ma l’eleganza è rispetto dell’occasione. Se ti invitano a una serata formale, non puoi presentarti in giacca sportiva. Un abito ben tagliato, una cravatta scelta con cura, una camicia di qualità: ecco il vero stile. Non è questione di moda, ma di rispetto per se stessi e per gli altri. L’Italia ha insegnato eleganza al mondo, non dobbiamo dimenticarlo".

Il futuro della sartoria qual è?

"Il problema è serio. Negli anni ’70 in Italia c’erano circa 150mila sartorie, oggi non arriviamo a un migliaio. I ragazzi non vogliono più imparare. È un lavoro che richiede tempo, precisione, pazienza. Senza nuove generazioni, la vera sartoria artigianale rischia di sparire. Eppure è un patrimonio unico, che tutto il mondo ci invidia".