
L’avvocato Franca Testerini
Sono tutti accusati di aver ridotto in schiavitù cinque giovani donne, le constringevano a prostituirsi: alla sbarra ci sono cinque nigeriani, dai trenta ai quaranta anni. Tre di loro sono donne. Secondo quando traspare dai capi di imputazione ai cinque imputati nel procedimento è contestato di aver assoggettato con la forza e la minaccia cinque ragazze che erano state adescate in Nigeria e trasferite con la forza in Italia pronte per essere inserite nel circuito della prostituzione aretina. I fatti sono avvenuti dal 2016 fino periodi più recenti, stando alla ricostruzione della Direzione distrettuale antimafia di Firenze (la Dea), titolare del fascicolo che è arrivato ieri alla Vela del tribunale per la discussione, che poi è però slittata di settimane. Teatro dei fatti il comune di Montevarchi. La trama dei fatti è ancora più macabra - se possibile - dei reati a loro contestati. Le donne si dovevano prostituirsi per non meno di cinquanta euro a prestazione e dovevano consegnare 500 euro settimanali ai propri sfruttatori. Se non lo avessero fatto - dicevano loro - se la sarebbero presa con i loro parenti direttamente in Nigeria, li avrebbero uccisi. Inquietanti anche i contorni e i dettagli del fascicolo: alle cinque ragazze si intimava di svolgere alcuni riti yuyu (una variante del voodoo) per asoggettarle a loro. Liturgie tribali in cui si utilizzavano anche ciocche di capelli e peli pubici, ma anche pezzi di unghie. "Se non lo fate diventerete pazzi", gli dicevano. A orchestrare tutto ci sarebbe un gruppo di cinque persone: tre donne e due uomini, alcuni di 20, altri di 30 e 40 anni. Tutti nigeriani. Alcuni di loro sono irreperibili e nemmeno l’avvocata Franca Testerini, che ne difende tre, è riuscita a mettersi in contatto con loro. Non è da escludersi che ci siano misure cautelari a loro carico ma è un aspetto non ancora chiaro. La vicenda sarebbe dovuta essere discussa in aula ieri mattina ma, a causa dello sciopero degli avvocati penalisti tutto è stato rimandato al prossimo 27 maggio. Il processo mette al centro ipotesi di reato gravissime: riduzione in schiavitù e vioelnza privata. Si rischia fino a trenta anni di carcere. E come tutte le fattispecie più pesanti se ne discute in corte d’assise davanti a sei giudici popolari estratti tra i cittadini che affiancano i due togati, in questo caso c’è anche la presidente della sezione penale Anna Maria Loprete.
L.A.