IDA BALO’*
Cronaca

Civitella, memoria e lacrime. La sopravvissuta bambina: "Ci puntarono le armi contro, molti nazisti ridevano di noi"

Ida Balò aveva quattordici anni il giorno della strage. Nel suo racconto è vivido il ricordo della morte: "Sembrava una finzione, ma aspettai invano mio padre che invece non tornò più"

Civitella, 26 aprile 2024 – Il discorso alla presenza del capo dello Stato di Ida Balò, 94 anni, presidente dell’associazione Civitella Ricorda e sopravvissuta alla strage, che ha raccontato il 29 giugno 1944, quando perse il padre e la casa. I nazisti uccisero 244 persone a Civitella in Valdichiana (Arezzo)

"Presidente, nel darle il benvenuto a nome dell’associazione Civitella Ricorda e mio personale, la volevo ringraziare per averci fatto l’onore di essere intervenuto nell’Anniversario della Liberazione. In questo importante anniversario così importante per me e per i miei compaesani. Sono Ida Balò, nata e vissuta a Civitella e sono una delle poche testimoni ancora in vita della strage del 29 giugno 1944.

La memoria di Civitella
La memoria di Civitella

All’epoca avevo 14 anni e vivevo in paese con mia madre e mio padre e ho assistito in prima persona all’eccidio dei miei compaesani, ho perso nella strage anche mio padre e molti dei membri della mia famiglia. Quella terribile mattina ero alla messa e, nel momento cui udimmo gli spari e i soldati tedeschi fecero irruzione in chiesa intimandoci di uscire, io corsi verso l’Arciprete il quale ci invitava alla calma. Una volta fuori ci trovammo di fronte a un plotone schierato in assetto di guerra con mitragliatrici e fucili spianati.

Nella mia ingenuità di adolescente, vissi tutto come se fosse una finzione, alcuni soldati ridevano quasi si trattasse di uno scherzo, ed io credetti che lo fosse realmente. Ma quando cominciarono a dividere gli uomini dalle donne e bambini, cominciai a rendermi conto che facevano sul serio e che forse ciò che ci aspettava non sarebbe stata una commedia, ma una tragedia. Spinsero donne e bambini, anche in malo modo, ad allontanarsi dal luogo che si apprestava a diventare il palcoscenico di quella macabra rappresentazione che di lì a poco si sarebbe consumata sotto gli occhi impotenti del parroco che si offrì come agnello sacrificale al posto dei suoi compaesani, ma la sua richiesta cadde nel vuoto.

Mentre ci allontanavamo dal paese incontrai solo morte e distruzione, donne che piangevano, cadaveri a terra, sangue e odore di fumo, case date alle fiamme, e io impietrita, corsi con il pensiero verso mio padre che non si trovava lì in quel momento, preoccupata per la sua sorte. La mamma mi rassicurò dicendomi che il babbo era fuori dal paese nel suo luogo di lavoro e che lì sarebbe stato al sicuro. Scappammo insieme agli altri nei boschi cercando una via di fuga da tutto quell’orrore, con la paura nel cuore e il presentimento che niente da quel giorno in poi sarebbe stato più come prima. Fummo rifocillate dalle suore di villa Poggiali e da lì cercammo di avere notizie più precise di quello che stava accadendo nel nostro paese che rimaneva nascosto dietro le colline, l’unica cosa che vidi fu una colonna di fumo che si alzava dalla torre e il mio cuore si fermò per un istante. Dentro di me il pensiero insistente del babbo mi tormentava. L’impossibilità di avere notizie certe, soprattutto sulla sorte dei nostri cari, gettava tutti nello sconforto, nessuno aveva voglia di parlare, ognuno chiuso con il suo dolore nel cuore e la mente alla propria casa, dove avevamo lasciato tutta la nostra vita.

La mamma non aveva parole da regalarmi, aveva lo sguardo perso nel vuoto, a scrutare un punto lontano nella speranza di veder arrivare il babbo. Che non arrivò mai, fu ucciso insieme agli altri al ponte della Palazzina, non ebbi nemmeno il tempo di salutarlo per l’ultima volta, non un bacio, non una carezza, non una parola d’addio. D a quel giorno sono passati ottanta anni, ma nella mia memoria è rimasto tutto intatto, come allora, niente si è perduto.

Quegli avvenimenti hanno segnato per sempre la mia vita e quella di tutti i miei compaesani, e ancora, a dista nza di tanti anni, rimane una ferita aperta nel cuore di chi, come me, lo ha vissuto in prima persona e che, con tenacia e ostinazione, ha cercato di mantenerne viva la memoria per tramandarla alle nuove generazioni, perché tutto questo è accaduto e purtroppo sta accadendo ancora in decine di altre Civitella disseminate in tutto il mondo. Da una tragedia così se ne esce solo grazie all’amore, l’amore che ho ricevuto io dopo la perdita del babbo, e l’amore che le donne di Civitella hanno con pazienza, coraggio e tenacia avuto nei confronti del proprio paese, facendolo rinascere come una fenice dalle proprie ceneri. Lo stesso amore, che lei, presidente, ha dimostrato nei nostri confronti venendo qui a rendere omaggio ai nostri martiri, in questa stessa piazza dove è avvenuto il loro martirio, la ringraziano”.

* Presidente dell’associazione Civitella Ricorda