Ciao sapori del grande nord, arrivano i nostri

La smobilitazione del villaggio tirolese lascia il centro della scena ai mercatini chilometri zero di San Jacopo e a quelli tricolori del Prato

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Liquirizia, cioccolatini e perfino quel tocco di carbone dolce che non amareggia il palato. Non siamo ancora alla Befana, la vecchietta spider sulla scopa irromperà sulla scena tra una settimana. Ma si ricompone dalle parti di piazza San Jacopo una delle miscele ai quali diverse generazioni legano il sapore delle feste. I chiccai, alcuni dei protagonisti del mercatino del Corso basso. Escono anche loro da due anni da incubo. Costretti al palo, esclusi da ogni occasione, a masticare amaro perfino in presenza dei loro eventi, come l’esterno della Madonna del Conforto e per l’appunto i giorni di Natale.

Eccoli di nuovo qui, eccoli di nuovo protagonisti. le calze appese in forze agli stand e pronti a riempirle fino all’orlo. Lecca lecca giganti, zucchero filato, in un mondo alla Tim Burton che è parente stretto della magia della Befana. Intorno un carosello di banchi, tutti di legno, e nei quali la gastronomia ha riguadagnato spazio: dai salumi ai tartufi, dall’olio ai taralli, dai formaggi ai funghi. Con un pizzico di somministrazione concentrata all’incrocio naturale delle due piazze: e poi il carosello dei banchi tradizionali, allestito da Confesercenti. Sciarpe, cappelli, pullover, pigiami e giacche da camera, bigiotteria, occhiali, oggetti per la casa.

Non è mai stato il palcoscenico dei regali di nicchia, del pezzo unico, della "ciliegina" sull’albero. Ma mantiene un suo ruolo nell’immaginario e nelle case, confermato da un volume di affari e di acquisti in crescita.

Restano padroni della Città di Natale insieme ai loro discendenti, sia pur un po’ alla lontana e mai del tutto somiglianti come accade a nonni e nipoti. Il Mercatino delle Meraviglie del Prato. Mai come stavolta ha fatto la voce grossa. Anche appoggiandosi ai numeri in crescita dell’appuntamento, Perché stavolta gli stand erano 28 e si vedevano. Si vedevano e si vedono mettendo le casine in tondo, come i carri nel West, ma soprattutto in quei vialetti dove passeggi in mezzo ad una doppia fila di banchi. Tutti diversi, tutti fuori dal coro: con un solo filo conduttore, raccogliere sapori e oggetti aretini o comunque italiani. Lì dove le Marche delle olive si incrociano con gli arancini della Sicilia, dove l’hamburger di chianina viaggia comunque volentieri con la mortadella romana. O dove il lampredotto di assoluta qualità converte alle sue arti perfino gli stranieri o dove la cioccolata calda suona le sue campane rispondendo alle trombe degli strudel di piazza Grande. E ora che gli strudel sono tornati al nord restano da soli, a suonare e a cantare, a godersi la riscossa dei piatti dietro l’angolo.

Senza la porchetta, e giustamente c’è chi alla Badia la recupera nell’ennesima casina di legno, ma con il resto della dispensa armato fino ai denti. E così il prolungamento della Città di Natale trova il suo senso. La decompressione dai sapori lontani delle malghe o dei rifugi passa attraverso la riconciliazione con l’armadio della nonna e i suoi tesori.

Chi parte saluta e ringrazia, chi resta ti affianca per addolcire lo choc del "tradimento" perduto, del gusto prestato per un mese a prodotti esotici. E convincerti che niente è all’altezza di quello che abbiamo sempre avuto.

Alberto Pierini