
Alberto
Pierini
C’era il sole quel 2 giugno del 1968. C’era il sole ma i pionieri della Fiera lo bruciarono sul tempo, rispondendo al richiamo della prima sveglia. Ognuno di loro era il protagonista di un’avventura che da lì avrebbe preso il largo, ma solo pochi se ne rendevano conto. Se non uno, lo stesso che quella mattinata di sole l’aveva prefigurata nel tempo, E forse vissuta mille volte prima di quell’alba aretina: Ivan Bruschi. Lui sarebbe stato pronto a partire già ad aprile: e oggi staremmo qui a raccontare non un’altra storia ma un altro compleanno, i 55 anni già compiuti. Ma le ultime resistenze burocratiche avrebbero spinto la nave due mesi più avanti. Fino a quel sole del 2 giugno.
Era un sabato. E la carica degli antiquari sarebbe sbarcata al molo di piazza Grande davvero all’alba. Perché non era ancora possibile, per chi lo avesse desiderato, montare i banchi il giorno prima: se non altro perché quello era il giorno prima del via. Avevano viaggiato di notte, da mezza Italia: chi dalla Lombardia, chi dalla Puglia, chi dalla Liguria, in tanti anche allora dalla Toscana, quindi guadagnandosi un’ora di sonno in più. E si erano affacciati in piazza da via Seteria. La stradina stretta dedicata al mondo della tessitura e delle stoffe anche allora era fuori dal percorso. Ci sarebbe entrata più avanti, disegnando decine di anni di mercato antiquario, in uno scorcio ristretto quanto suggestivo. Ne sarebbe uscita, forse definitivamente, a cavallo della pandemia, vittima dell’abisso di un distanziamento sociale che avrebbe cambiato la nostra vita. E al quale si sarebbe aggiunta la carica dei tavolini dei bar: cresciuti e moltiplicati anche e soprattutto grazie alla Fiera per poi diventarne, e non certo solo in via Seteria, i grandi rivali.
Erano circa 180 all’alba del 2 giugno e della Fiera. Una squadra che Bruschi aveva messo su nel tempo, come un grande commissario tecnico: affiancato dalla cura certosina di una segretaria meticolosa come Carla Fantoni, diventata nel tempo il suo braccio destro. Era in prima fila alle 6 di quel 2 giugno ad aspettare gli arrivi.
Tutto in una piazza, una piazza per tutto. La Fiera degli esordi si giocava solo lì, tra la cortina dei palazzi sul lato basso e quella delle Logge. La discesa verso il centro sarebbe iniziata più tardi, partendo proprio dalla fettuccia di via Seteria.
Anche allora, secondo uno scacchiere deciso a tavolino, il grosso dei mobili era sul mattonato. Seguendo l’andamento di piazzole precise ma mai fiscali, affidando la libertà dell’idea anche ai pezzi che sbordavano dal perimetro disegnato sulle carte. Linee di un successo che avrebbe trainato la città per anni.
I gioielli fin dall’inizio si erano ritagliati il salotto delle Logge, il più protetto. In realtà quel 2 giugno occupavano soprattutto gli spazi tra una colonna e l’altra, quindi quasi sul ciglio della piazza. Ma i banchi erano anche sulla parete opposta, quella attualmente egemonizzata dai ristoranti. Il successo della Fiera non aveva fatto ancora in tempo a lanciarli, facendone poi come in via Seteria dei contendenti agli stessi spazi. E i fondi ospitavano ambienti meno goderecci: la tipografia Badiali, chiusa di domenica, gli spazi che lo stesso Bruschi usava a servizio logistico dell’evento.
Gli altri antiquari ai piedi delle Logge, lungo tutta via Vasari: unica eccezione la parete di Fraternita, il resto parte di un infinito villaggio. Banchi "nudi" se non delle ricchezze che arrivavano da tutta Italia: non c’erano ancora i grandi ombrelloni che avevano preceduto le tende attuali. Bruschi li ordinò a Figline qualche anno dopo, anticipando anche la spesa che solo in parte avrebbe recuperato.
Tutto in una piazza e tutto in un giorno. Perché ai primi passi sulla "sabbia" di piazza Grande, la Fiera si giocava i suoi assi di domenica: il sabato si sarebbe aggiunto solo nel 1973. Complice il successo crescente della manifestazione ma anche l’austerity, con il meccanismo delle targhe alterne a frenare la circolazione nei giorni di festa.
Anche il punto ristoro sarebbe arrivato più avanti: con l’idea del babbo del "topo" (Antonio Lodovichi) di sfruttare la terrazza di Fraternita per grigliate e panini. Oggi i suoi discendenti vedono ai loro locali code compatte nei giorni di Fiera: e anche quelle erano in fondo precedute da quel 2 giugno inondato di sole. Prima dei ristoranti sarebbe spuntato anche un angolo per la vendita del vino, sullo scalone monumentale che conduce al Praticino: reso disponibile da Fosco Balestri, storico araldo della disfida. Ma quel giorno no, non quel sabato 2 giugno.
C’era posto solo per gli antiquari, tra cui dinasty ancora in piazza: i Burzi, i De Santis, i Vanneschi. Avrebbe potuto essere la piazza dei fiori, la prima idea sul suo futuro dopo il trasloco al Foro Boario del mercato, diventò la piazza dell’antiquariato. E si caricò sulle spalle il futuro della città, allora ancora addormentata, all’alba di quel 2 giugno. E del sogno di una Fiera che oggi spegne le 55 candeline.