Non fu un anno di disgrazia come lo è stato il 2020, ma anche il 1920, un secolo fa, fu un anno terribile. Politicamente soprattutto, perchè la pandemia, che allora si chiamava Spagnola si era esaurita fra la fine del 1918 e la prima metà del ’19 con un tributo di vite umane che ha reso il nome di quel virus famigerato quanto il Covid. Triste prologo a quello che poi sarebbe stato chiamato il Biennio Rosso, quello fra il 1919 e il 1920, con lo spettro (o la speranza) della rivoluzione che veniva agitato quotidianamente, fino a scatenare, sul finire di quest’ultimo anno l’offensiva squadristica del vero fascismo.
Ripercorrere quei mesi in poche righe non è possibile, basterà dire che, per quanto l’ombra di un totale sconvolgimento politico e sociale si fosse affievolita nel corso del 1920, qui anche grazie al fallimento in aprile dello Sciopero delle Lancette alila Sacfem (il Fabbricone allora situato dove ora ci sono il complesso e il parco del Prato), almeno due eventi avevano contribuito a rendere incandescente il clima dell’autunno: le grandi agitazioni agrarie (e allora Arezzo viveva in gran parte di agricoltura) dell’estate, che avevano portato a un nuovo patto colonico, e l’Occupazione delle Fabbriche di settembre, che qui coinvolse ancora la Sacfem, la Bastanzetti e la Ferriera di San Giovanni, trasformate per quasi un mese in fortini operai con produzione autogestita e armi (un po’ per la difesa, un po’ in vista di un improbabile sbocco rivoluzionario) realizzate e accumulate dentro gli stabilimenti.
Una febbre politica che si era quindi attenuata in ottobre, quando nelle elezioni amministrative i partiti borghesi o costituzionali che dir si voglia avevano conquistato, anche grazie alla divisione dei socialisti fra elezionisti (decisi a partecipare al voto) e astensionisti (la frazione comunista ad Arezzo maggioritaria), tre dei centri maggiori, dal capoluogo a Montevarchi e San Giovanni (risultato clamoroso quest’ultimo) lasciando al Psi Cortona, Sansepolcro e Bibbiena. E qui bisogna guardare per capire i primi vagiti del vero fascismo aretino, che nasce in quello scorcio di 1920 traendo linfa dai ceti medi antisocialisti e dagli scontenti dei patti elettorali, come i frisoniani (sostenitori dell’ex deputato moderato Edoardo Frisoni) in Valdarno e il Fascio della Nuova Italia nel capoluogo, due forze sicuramente antisocialiste ma escluse dalle alleanze vincitrici nelle urne.
L’atmosfera è particolarmente tesa in Valdarno, dove in autunno gli organizzatori sindacali bianchi (cattolici) riprendono l’agitazione per l’esecuzione del patto colonico, cui gli agrari recalcitrano. Si arriva prima allo sciopero, poi all’occupazione di fatto dei poderi, coi contadini invitati dalla Federazione Agricola (guidata dal popolare, poco amato dai moderati del partito, Silvio Celata) ad alzare bandiera bianca sulle cascine, in pratica a rompere i rapporti coi proprietari.
Ma stavolta gli agrari sono determinati a non mollare. Anche perchè possono contare sulle squadracce del Fascio di Montevarchi, il primo della provincia, nato il 16 novembre e del cui direttorio fa parte anche Carlo Rubeschi, leader dell’Agraria locale, per dare l’orientamento.
Già nell’ultimo scorcio di novembre e poi per tutto dicembre e i primi di gennaio, gli squadristi valdarnesi battono le campagne contro i contadini in sciopero, con bastonature e violenze. Fra loro ci sono i residui dei mazzieri luzzattiani (sostenitori di Arturo, deputato in carica di Montevarchi, democratico) e frisoniani che da anni si combattono con la forza ad ogni campagna elettorale. "Non comprendiamo - scrive il giornale dei socialisti aretini “La Falce“- come ci debbano essere individui che si sono assunti il compito di molestare ora gli uni ora gli altri, e pur non avendo beni di fortuna possono trascorrere una vita di agi, di gioco, senza lavorare".
Vivace ritratto dei primi fascisti, a volte veri e propri mercenari degli agrari, più spesso piccoli proprietari che vivono la Grande Paura di perdere la terra della quale vivono. Ancora la “Falce“ conferma: "I fascisti sono studenti, sono figli di proprietari, sono ufficiali in aspettativa". La "Vita del Popolo", organo popolare incalza: "Gli agrari valdarnesi hanno assoldato stampa e fascismo il quale ha sguinzagliato nelle campagne i suoi adepti ubriacati d’odio e di vino a comettere contro i coloni ogni sorta di sopruso".
Sono le settimane dei Fatti di Palazzo d’Accursio a Bologna e di quelli del Castello Estense a Ferrara che lanciano lo squadrismo a protagonista della politica nazionale. Non a caso, il 20 dicembre i fascisi "notoriamente combattivi" di Firenze e Siena vengono chiamati dai Combattenti aretini a innagurare la bandiera della loro associazione. Partono da Palazzo Cavallo guidati da Amerigo Dumini, il futuro assassino di Matteotti, tra gli squadristi più violenti. Si scatenano contro sparuti simpatizzanti di sinistra che gridano “Viva la Russia" o cantano Bandiera Rossa. Parte anche l’assalto alla Camera del lavoro, sventato dalla polizia. A seguire un colpo di pistola e selvagge bastonature. Sulla via del ritorno, i fascisti fiorentini devastano la sezione socialista di Montevarchi.
E’ il prologo al periodo più violento della storia politica aretina, quello che vedrà nel marzo 1921 la nascita del Fascio di Arezzo e poi due mesi in cui la provincia viene messa a ferro e fuoco, con gli episodi sanguinosi di Castelnuovo dei Sabbioni e Renzino, di cui a breve ricorrerà il centenario. Ma ci sarà modo di riparlarne.