
Incidente in autostrada, lunghe code (foto archivio Newpress)
Arezzo, 4 gennaio 2019 - Quanti pezzi avrà scritto La Nazione negli ultimi anni sul tratto aretino dell’Autosole come collo di bottiglia, anzi nodo scorsoio al collo dell’Italia? La gran parte li ha firmati chi scrive e alla fine è diventata quasi routine, un esercizio di scrittura, anzi di previsione, basato sui numeri e sul colpo d’occhio di un’autostrada sempre più intasata, fin quasi a scoppiare.
Una cosa, però, è immaginarlo il Grande Ingorgo, un’altra, e ben diversa, è viverlo in diretta. Al punto di toccare con mano quale sia il livello di saturazione della principale via di collegamento fra nord e sud, l’arteria femorale del paese, l’orgoglio, quando fu costruita, più di mezzo secolo fa, dell’Italia del Boom: Roma e Milano, la capitale morale e la capitale politica, collegate da un nastro d’asfalto realizzato in cinque anni (oggi ci vorrebbero cinque secoli).
Succede tutto nel pomeriggio di quello che dovrebbe essere un giorno normale, il 2 gennaio, un martedì subito dopo il Capodanno, e non quello dell’Apocalisse. Da Roma a Orte, finchè l’Autosole è a tre corsie, fila tutto liscio: il traffico è intenso (si fa sentire il rientro) ma relativamente scorrevole. I guai cominciano fra Orte e Orvieto, dove finisce il tratto ammodernato e si rientra nell’unico pezzo di autostrada che è rimasto esattamente come fu concepito più di mezzo secolo fa, quello appunto fino ad Arezzo e poi a Incisa.
Lì il traffico, che arriva da sud o da nord disposto su tre corsie per ogni senso di marcia, si raggruma e si comprime nel tracciato vetusto di un tempo, si raccoglie minaccioso nei giorni ordinari e finisce per paralizzarsi ad ogni accenno di esodo. Il primo segno infatti sono i cartelli minatori che incombono: code a tratti fra Fabro e Chiusi. A tratti? L’espressione non rende bene l’idea della palude intorno a Orvieto.
Tutti fermi per un quarto d’ora, mentre la temperatura della sera scende. Poi si riparte e, sia pure, a ottanta, cento all’ora, si riprende la marcia. A tre chilometri da Chiusi si sente quasi l’odore di Arezzo, col pensiero di averla scampata ancora una volta col minimo dei danni. Macchè: quando il casello è quasi dietro l’angolo eccolo il maledetto ingorgo dal quale non si sfugge.
Di nuovo tutti fermi e stavolta non sono cinque minuti. Dopo venti il traffico non si è mosso di venti metri, dopo mezz’ora idem. Non resta che chiamare la Polstrada e chiedere: ma è tutta così fino ad Arezzo? La risposta è scoraggiante: sì, è tutta così fino a Firenze e anche oltre. Il consiglio? Uscire e imboccare la viabilità ordinaria. Infatti. Alla fine si riesce a guadagnare il casello e prendere la vecchia Umbro-Casentinese: buia, piena di buche, ma in un’ora ecco casa.
Tre ore da Roma, invece delle due ordinarie, ma il pensiero va soprattutto a chi è rimasto in coda verso il nord: quanto ci metteranno, attraversando per intero il tratto aretino, a raggiungere Firenze e Bologna? Amen.
Ps La soluzione si chiamerebbe ovviamente terza corsia ma ormai è quasi un’utopia. Sotto minaccia di revoca della concessione perla storia del PonteMorandi, la Società Autostrade ha sospeso la progettazione esecutiva da Incisa a Valdarno (doveva essere tutto pronto nel 2023) e quella preliminare dal Valdarno ad Arezzo, Chiusi e Orvieto. Perchè dovrebbe pagare lavori di cui usufruirà qualcun altro? Il nodo scorsoio non è letteratura, è ormai la realtà quasi quotidiana.