
Polizia
Arezzo, 25 luglio 2019 - Affermarlo sarebbe azzardato, ma un cumulo di indizi fanno pensare che si tratti degli stessi, di quelli che nel biennio 2010-2011 dettero vita a un vero e proprio assalto alle aziende dell’oro. Anni difficili per gli imprenditori, vittime di colpi in serie alcuni dei quali clamorosi; ma anni da cui è stata tratta una lezione, quella di allestire un sistema di sicurezza che ha dato ottimi frutti. Gli ultimi colpi tentati ai danni di giganti dell’oro lo hanno dimostrato, entrambi andati a vuoto prima alla Chimet e poi alla Italpreziosi.
Eppure i segnali non sono incoraggianti: dare l’assalto ai colossi può infatti significare un’escalation degli obiettivi della banda attualmente in azione nel territorio. Ed eccoci al parallelo con il biennio nero. Le bocche degli inquirenti sono cucite, ma qualche indiscrezione e alcuni confronti fanno pensare. Ad esempio sono praticamente identiche le modalità dei raid, adesso come allora. La prima fase scatta con la ricognizione nei dintorni dell’azienda del mirino, con particolare attenzione nei riguardi del sistema d’allarme.
L’azione scatta di notte, in due momenti ben distinti: la prima parte è rivolta appunto al sistema d’allarme che viene messo fuori uso non in modo violento, ma con tecniche scientifiche che in ogni caso lo fanno attivare. Questo i banditi lo sanno bene, ecco perché si ritirano subito in buon ordine nascondendosi in zona nell’attesa dell’inevitabile arrivo delle guardie giurate e delle forze dell’ordine.
Ma la precisione del sabotaggio è così accurata che a volte non ci si accorge del danno arrecato all’impianto di allarme e si pensa magari a un malfunzionamento. Così, se il guasto è scoperto, la gang se ne scappa tranquillamente via; se invece passa inosservato, allora i banditi tornano sul luogo del misfatto, sfondano con gli attrezzi tradizionali dello scasso e se ne vanno col bottino. E’ accaduto per alcuni furti di minore entità, gli ultimi a tre aziende in via Ramelli a inizio luglio con una refurtiva di trenta chilogrammi di argento.
Moltoi sforzo per un risultato non superiore ai diecimila euro, anche se notevoli sono stati i danni agli stabilimenti. Ma da fonti investigative trapela l’ipotesi che si sia trattato di colpi di prova, giusto per rodare un sistema da adottare poi per imprese ben più eclatanti.
E infatti, dopo la riuscita in via Ramelli, ecco arrivare l’assalto alla Italpreziosi, fallito soltanto per le risorse dell’allarme installato dalla ditta Pm. La domanda di fondo resta però la stessa: sono quelli dei due anni da incubo? Polizia e carabinieri stanno indagando anche in questa direzione.