
Antonio Moretti
Arezzo, 30 novembre 2020 - Per i Moretti dell'omonima dynasty, il padre Antonio, il re del vino, e il figlio Andrea, non solo c'è la richiesta di rinvio a giudizio ma anche il decreto di fissazione dell'udienza preliminare, appena notificato ai protagonisti-imputati, tra i quali ci sono anche i due più stretti collaboratori della famiglia, Marcello Innocenti e Paolo Farsetti, più il ravennate Luca Gardini, tutti accusati di reati che vanno dalla bancarotta fraudolenta all'autoriciclaggio all'emissione di false fatture (l'unica contestazione a Gardini). Udienza preliminare nell'aula del Gip Claudio Lara il 28 gennaio, con tempi strettissimi.
Quella del Pm Marco Dioni più che una richiesta di processo è una foresta quasi inestricabile di società vere e fittizie, di amministratori di fatto e di teste di legno che stavano lì solo a fare di paravento, di milioni (a decine) che escono da una sigla per ricomparire in un’altra. Il ritratto di una famiglia, i Moretti, una delle grandi dinasty aretine, che gestiva i propri beni con disinvoltura dai risvolti penali, almeno secondo la procura, che firma un atto d’accusa lungo ben venti pagine, nel quale spicca un nuovo reato, mai contestato finora in un’inchiesta che va avanti da più di un anno e mezzo: la bancarotta fraudolenta. Anzi, l’associazione a delinquere finalizzata non solo alla bancarotta, ma anche all’appropriazione indebita, a una lunga serie di reati fiscali e alla contestazione originaria, quella dell’autoriciclaggio, cioè il riutilizzo di risorse economiche provenienti da precedenti illeciti penali commessi dagli stessi protagonisti.
Nel mirino appunto il capostipite Antonio, noto anche come il Re del Vino per la sua fattoria Setteponti di Castiglion Fibocchi che produce un rosso di gran classe come l’Oreno, giudicato fra i migliori al mondo, arrestato nel novembre 2018 e rimasto ai domiciliari per quattro mesi e mezzo; e il figlio Andrea, che nella dinasty si occupa del ramo moda, anche lui ai domiciliari per mesi. Se la cavano con l'archiviazione, dopo essere stati coinvolti nell'avviso di chiusura indagine l’altro figlio Alberto, la figlia Monica e la sorella Giovanna, tutti interdetti a suo tempo dalle cariche sociali. I loro interrogativi difensivi hanno convinto il Pm Dioni a tenerli fuori..
A completare l’elenco dei cinque sotto accusa ci sono i due collaboratori più stretti della dynasty, Paolo Farsetti e Marcello Innocenti, gli ultimi a uscire dagli arresti casalinghi nella primavera 2019. Sono considerati la longa manus della famiglia negli affari. L’ultimo accusato è il noto sommelier cesenate Luca Gardini, considerato fra i migliori al mondo, cui si contesta un reato tutto sommato minore come l’emissione di una falsa fattura da 20 mila euro in favore di una società di Antonio Moretti, la "Orma".
In tutto i capi di imputazione sono una trentina, nove dei quali riguardano la bancarotta fraudolenta, con distrazioni di una dozzina di milioni dai conti delle società poi finite in fallimento, fra le quali la Sdm Srl, M&M Financial Spa, che controlla i marchi Modi e Moda e Pull Love, e la Prioria, altra sigla che sarebbe stata nella disponibilità di Andrea Moretti per le proprie esigenze personali di cassa. Lui, secondo i calcoli del Pm Dioni e della Finanza, avrebbe usufruito di 4 milioni e 800 mila euro nel corso degli anni, il padre Antonio di un milione e 238 mila euro, il fratello Alberto di circa mezzo milione.
Quanto all’autoriciclaggio, esso è stato leggermente ritoccato al ribasso rispetto alle prime stime: 22 milioni invece dei 25 che stavano nell’ordinanza di sequestro del Gip, ma resta pur sempre l’accusa più consistente insieme alla bancarotta. E’ quest’ultima, anzi, a cambiare un pò le carte in tavola, perchè se prima gli avvocati difensori erano convinti di andare a processo per smontare l’autoriclaggio, la bancarotta induce tutti alla prudenza, sia per le possibili prove documentali che per la pena elevata. Non è escluso che almeno per le posizioni principali si possa arrivare a un rito abbreviato. Dipenderà anche dalla montagna imponente di carte che Dioni ha depositato insieme all’avviso di fine indagini: sono ben 20 mila pagine.