
Fredy Pacini
Arezzo, 5 settembre 2020 - Non finisce più l’odissea giudiziaria di Fredy Pacini, il gommista con la pistola che fulminò con cinque colpi di pistola, due a segno, il ladro moldavo Vitalie Tonjoc, al trentanovesimo blitz dentro la sua ditta di Monte San Savino. «E’ un incubo che non finisce mai», si sfoga lui con gli intimi (ma non con i giornalisti per i quali è irraggiungibile) a proposito dell’ordinanza del Gip Fabio Lombardo che respinge la richiesta di arichiviazione del Pm Andrea Claudiani e dispone altri sei mesi di indagini suppletive.
«Cercheremo di far presto, possibilmente molto prima del termine», promette il procuratore di ritorno Roberto Rossi, che ha ereditato il fascicolo da Claudiani, trasferitosi a Perugia alla fine di giugno. Ma in procura il disappunto per la decisione del giuice è palese: c’era la convinzione di una richiesta ben argomentata e c’era anche la speranza che questa vicenda, capace di scuotere l’Italia intera all’indomani del 28 novembre 2018, la calda notte del gommista, potesse finire qui.
Lombardo la pensa diversamente. Per lui è corretta la ricostruzione dei fatti di Claudiani, ma dubita delle conseguenze giuridiche che ne sono state tratte. Che cioè Pacini abbia agito nell’ambito della legittima difesa, sia pure putatitva, cioè di una minaccia che non era oggettiva ma che lui percepiva soggettivamente come un pericolo per la sua vita e i suoi beni.
Secondo il giudice, invece, va chiarito se il gommista non avesse alternative, quindi se non potesse comportarsi diversamente, senza sparare o sparando in aria, al limite chiudendosi nel suo soppalco al primo piano del capannone ed evitando così quel pericolo che il ladro gli sparasse addosso (Fredy dice di aver visto una lama di luce nel buio, era una torcia ma lui la scambiò per una pistola) da cui si sentì lambito, al punto di staccare l’allarme (altro punto critico indicato dal Gip), intimare il chi va là al moldavo (26 anni) e poi premere il grilletto.
Dubbi, non certezze. Altrimenti Lombardo avrebbe ordinato di formulare l’imputazione coatta di omicidio colposo ed eccesso colposo di legittima difesa. Ma si porteranno via lo stesso altri sei mesi della vita di Pacini, che già da quasi due anni coabita con la paura di finire a processo e col rimorso di aver ucciso un uomo. Un anno e tre mesi da solo se lo sono ingoiati le lungaggini di Palazzo di giustizia, i cambi di Gip ripetuti e persino i ritardi del lockdown. Pensare che il Pm Claudiani era stato velocissimo nelle sue indagini: appena sei mesi per chiedere l’archiviazione, ma il resto non finisce mai.
Ma quali sono i punti sui quali Lombardo chiede chiarimenti? Innanzitutto c’è la questione della torcia nelle mani di Tonjoc: è lecito pensare che il gommista l’abbia scambiata per un’arma con la lama di luce che proiettava? E ancora il sistema d’allarme: perchè il gommista lo disattivò invece di attendere che arrivassero i carabinieri? C’è poi la questione delle condizioni del moldavo dopo la caduta entrando nel capannone: poteva, con un femore rotto e un acetabolo in pezzi, fare il balzo di cui Fredy racconta di averlo visto protagonista o aveva bisogno dell’aiuto dei complici? Ultimo tema quello dell’arma del gommista: puntatore laser e torcia della pistola potevano essere disattivati dal protagonista?
Ora tocca ancora ai carabinieri, già autori delle prime indagini, e probabilmente ai periti. Il destino di Pacini è appeso a questi accertamenti. Se convincono il giudice finisce lì, altrimenti c’è un processo che lo aspetta.