Annaffiava le piante di cannabis terapeutica per l'amico disabile: condannato per spaccio

Il giudice gli ha negato la messa in prova e gli ha inflitto un anno e 2 mesi: nuova svolta sul caso De Benedetto

Walter De Benedetto, 48 anni, combatte ogni giorno contro una patologia degenerativa

Walter De Benedetto, 48 anni, combatte ogni giorno contro una patologia degenerativa

Arezzo, 12 dicembre 2020 - Lo hanno condannato come se fosse uno spacciatore qualsiasi, uno di quelli che vendono droga all’angolo della strada, e non l’amico di un disabile che la marijuana terapeutica la adopera per lenire i dolori insopportabili della malattia degenerativa che lo sta consumando giorno per giorno. Niente messa alla prova per Marco B., niente non punibilità, bensì una condanna a un anno e due mesi, quarto comma della legge antidroga, come uno che vende «roba» leggera a chili, senza neppure la derubricazione al quinto comma della modica quantità.

La pena è sospesa dalla condizionale, ma il precedente sulle spalle di uno che ha solo aiutato un amico a soffrire di meno resta. La storia, lo ricorderanno in molti, è quella di Walter De Benedetto, diventata un caso nazionale da quando i radicali ne hanno fatto uno dei loro emblemi.

Lui ha bisogno della cannabis terapeutica ma la sanità pubblica non gliene passa in misura sufficiente e quindi si era attrezzato nella sua abitazione di Olmo per coltivarsela da solo. Marco B., dipendente di un’azienda orafa, ha avuto solo il torto di ritrovarsi ad annaffiare le piantine di marijuana quando i carabinieri, avvertiti da una soffiata anonima e maligna, fecero irruzione il 3 ottobre 2019, scoprendo una piantagione di notevoli dimensioni: parecchi chili.

Arresto in flagranza di spaccio per Marco, anche se Walter aveva detto subito che la droga era per lui e la coltivazione era sua. Può capitare nella concitazione di un’operazione di polizia giudiziaria, peggio quello che viene dopo. Intanto c’è l’imbarazzo della posizione del disabile, che non viene arrestato e nemmeno accusato di concorso, ma solo perseguito in un secondo momento.

Buon senso vorrebbe che anche per l’amico si tenesse conto della situazione particolarissima, a tutto ricollegabile meno che a un pusher. Il Pm Elisabetta Iannelli, invece, insiste col quarto comma. Una pezza aveva provato a metterla il giudice Giulia Soldini, che nell’udienza del 7 febbraio aveva concesso l’affido in prova, chiedendo la presentazione di un programma in tal senso.

Ma nel frattempo lei è passata all’ufficio Gip e il caso affidato a un altro magistrato, Filippo Ruggero. E’ lui che il 25 settembre nega la messa in prova, riservandosi di concederla semmai al termine del processo col rito abbreviato, quello appunto che si è celebrato ieri. Il Pm Bernardo Albergotti chiede la pena di un anno, l’avvocato difensore Cristiano Cazzavacca la non punibilità per particolare tenuità del fatto o in subordine la famosa messa in prova.

Niente da fare: Ruggero va oltre la richiesta d’accusa e infligge un anno e due mesi, con lo sconto di un terzo del rito e le attenuanti generiche, ma senza concedere neppure tutto quell’ulteriore terzo che è consentito.

Come con un vero spacciatore, insomma, si vedrà dalle motivazioni quanto abbia considerato l’eccezionalità della situazione. Intanto, è arrivato l’avviso di fine indagine anche a De Benedetto. Spaccio pure per lui, che da mesi dice di voler andare in Svizzera per smettere di patire con l’eutanasia. Se non è un paradosso questo...