Long Covid: l’ultima battaglia della paziente 1 e il suo appello per i dimenticati

Brianza, Morena Colombi lancia una petizione per garantire controlli e cure a chi come lei in dodici mesi non è ancora uscito dal tunnel

Morena Colombi

Morena Colombi

Agrate (Monza e Brianza), 7 febbraio 2021 - «Abbiamo bisogno di cure, adesso. Ma nessuno si ricorda di noi". I 14mila Long-Covid raccolti da Morena Colombi, l’operaia della Intercos di Agrate paziente 1 della prima ondata in Brianza, lanciano una petizione online: "Aiutateci subito". L’appello sulla piattaforma Change.org parte dagli strascichi dell’infezione: "Tamponi negativi, ma vita rovinata. Questa è la nostra condizione e nessuno ci dà retta - spiega -. Ci sono cure in ordine sparso, ma manca un programma di sorveglianza a lungo termine che chiarisca gli effetti della polmonite su chi continua a convivere con tante ripercussioni. Dolori e stanchezza cronica sono la quotidianità di migliaia di persone. Per noi è impossibile tornare alla vita di prima. Basta una chiacchierata e abbiamo il fiato corto. Non siamo malati immaginari. Se ci visitassero, se ne accorgerebbero". A luglio, per cercare conforto e condividere i problemi la 58enne ha scritto tutto su Facebook, poche ore dopo aveva centinaia di visualizzazioni. "Ho aperto una breccia, non mi sono più fermata".

In qualche settimana è stata travolta da migliaia di messaggi, "tutta gente che come me non sapeva dove sbattere la testa". Ha aperto così la pagina “Noi che il Covid l’abbiamo sconfitto“ e gli iscritti ora chiedono a gran voce che la sanità si occupi di loro. "C’è bisogno di programmazione. Speriamo che qualcuno raccolga il nostro grido: chiediamo controlli da mesi. Cerchiamo di infrangere il silenzio che è calato intorno a noi". Del caso di Morena e della sua battaglia dopo la guarigione con strascichi si è occupato anche il New York Times. "Per questo mi fa ancora più male il vuoto nel quale siamo stati relegati". Lei, che si presentò all’ospedale a donare il plasma per salvare i malati più gravi "e oggi non mi fissano neanche una visita di controllo". La lotta contro il virus è cominciata un anno fa, a San Valentino, dopo i primi sintomi al rientro da un turno di lavoro e un passaggio al pronto soccorso di Treviglio per la diagnosi, seguito da una lunga quarantena domestica "fra paure e sconforto come per tanti altri". Un’esistenza sospesa "senza sapere cosa sarebbe successo. Dimenticare è impossibile: questa è un’esperienza che segna nel profondo. C’è un prima e c’è un dopo. L’isolamento mi ha messo a dura prova, posso solo immaginare cosa abbia vissuto chi è finito intubato in rianimazione. Adesso siamo più soli di prima". Sono passati 12 mesi, ma l’odissea non è finita.