
Una delle scritte sui balconi durante il lockdown (Foto archivio)
Milano - Circa il 10% delle liti nate nei condomini in Italia arriva dalla Lombardia, una delle regioni con più contenziosi tra vicini di casa. "Qualcosa sembrava cambiato nei tre mesi del primo lockdown, come se il Covid avesse messo in pausa tanti dissidi – analizza Leonardo Caruso, vicepresidente nazionale vicario di Anaci e presidente provinciale di Milano dell’Associazione nazionale amministratori condominiali –. Ma dall’autunno, al rientro dalle ferie e con il secondo lockdown, le liti si sono inasprite". Un fenomeno che va oltre i pochi numeri ufficiali "perché la maggior parte delle dispute non viene risolta per via giudiziaria a causa dei costi elevati. Il risultato è che rimane l’astio". Anche i numeri della Camera arbitrale di Milano relativi alle domande di mediazione per questioni condominiali confermano il trend degli amministratori. Tra marzo 2020 e marzo 2021 le richieste per trovare un accordo alle querelle da pianerottolo sono crollate: -74%. Ma negli ultimi due mesi si sta assistendo a una rapida risalita delle domande, primo effetto della riesplosione delle contese scaturite dopo la scorsa estate.
«Sarà una boutade – dice Caruso – ma servirebbe un patentino prima di rogitare e diventare proprietari di un appartamento in condominio: le liti nascono per l’incapacità di rispettare un regolamento condominiale che non è altro che un insieme di norme di buon comportamento. Ecco perché insistiamo molto sulla formazione: dall’educazione civica nelle scuole, partendo dai bambini, agli incontri che la nostra associazione promuove negli istituti, con i ragazzi". Le liti più frequenti riguardano ancora "rumori, odori e utilizzo delle proprietà private", rivela presidente provinciale di Milano dell’Associazione nazionale amministratori condominiali. "C’è una piccola parte originata dalle situazioni di morosità, in particolare l’opposizione da parte di alcuni condomini ai piani di rientro proposti a chi non riesce a saldare le spese".
A questi si sono aggiunti casi amplificati dai lockdown che si sono ripetuti nell’ultimo anno. "La permanenza in casa è aumentata a causa delle restrizioni alla mobilità imposta dalle norme anti-Covid: ad accezione del primo lockdown, questo scenario ha esasperato alcune situazioni – spiega Caruso –. Chi prima usciva la mattina per andare in ufficio e tornava la sera ora lavora in smartworking e segnala ogni rumore. Ci sono gli anziani infastiditi dai bambini che corrono nelle case o nei cortili. Situazioni che il rallentamento della socialità ha amplificato. Più grave, invece, è il tema degli Airbnb e in generale degli appartamenti destinati ad affitti brevi: la cronaca ha raccontato di proprietari che mettevano a disposizione case per le feste con problemi di rumori, assembramenti e rischi sanitari".