M5s, fuori Conte. Si scalda Di Maio

Grillo e la frattura dei 5 Stelle

La politica è un virus per il quale non esiste cura, né vaccino. Ha attaccato irrimediabilmente i politici del passato, che pure avevano una modesta esposizione internazionale. Figuriamoci chi ha avuto modo come capo di due governi di interloquire con i Grandi della Terra. Giuseppe Conte, perciò, difficilmente tornerà all’insegnamento universitario se questo fine settimana non ci sarà la difficilissima ricomposizione con Beppe Grillo. Ai re Magi che ieri pomeriggio sono andati a trovarlo (Patuanelli, Licheri, Taverna) Conte è apparso offeso e determinato a non cedere al diktat di Grillo.

Uno che ha preso il caffè con la Merkel e dato del tu, come usa oggi, a capi di Stato e di governo non può essere trattato come uno studente che riteneva di aver acquisito la maturità e scopre che per ogni decisione dovrebbe aspettare sempre il giudizio del professore. Un capo – del M5s o di qualsiasi altro partito – ha il diritto all’ultima parola. L’altro ieri Conte ha scoperto che questa spetterebbe all’Elevato. In questo senso bisogna prendere atto che il M5s è insieme con la Santa Sede l’unica monarchia assoluta d’Occidente.

Una parte del Movimento – specie i senatori – spingono perché Conte, se rompesse con Grillo, faccia una sua lista alle prossime elezioni. Le difficoltà sono enormi e i sondaggi spesso ingannano. Ma la tentazione è forte. E’ un discorso interessato, quello dei senatori, perché un gruppetto avrebbe la possibilità di sopravvivere alla mannaia del secondo turno che risparmierebbe (con buon senso) una dozzina di Elevatini. Ma sono ore di grande confusione ed è presto per fare previsioni a mente fredda.

Il personaggio più lucido della compagnia è Luigi Di Maio. Uscito dal nostro primo colloquio per un libro del 2013, ebbi l’impressione che quel ragazzo arrivato alla vice presidenza della Camera a 27 anni avesse qualche scheggia del Dna di Andreotti. In otto anni le schegge si sono irrobustite. Preso atto che la leadership di un partito complicato come il M5s è incompatibile con il ministero degli Esteri, Di Maio si è dimesso da capo politico un anno e mezzo fa e da allora mangia pop corn assistendo al rosolamento del povero Crimi, allo scontro tra Conte e Casaleggio e alla sostanziale implosione del Movimento. Adesso bisogna ricostruirlo. Fino a ieri questo compito sembrava assegnato a Conte. Ma se Conte mollasse, l’Elevato chiamerebbe Di Maio sommerso di complimenti, mentre sull’ex premier piovevano insulti. Il lettore ha capito che in questa fase è inutile chiedersi quale sarà la linea politica del nuovo M5s, ammesso che sia davvero nuovo.