Focardi: "Farsa messa in piedi da chi voleva mantenere un posto di lavoro di pregio"

Intervista esclusiva all'ex rettore, Silvano Focardi, all'indomani dell'assoluzione per l'inchiesta sul maxi buco dell'Ateneo senese

Silvano Focardi

Silvano Focardi

Siena 21 luglio 2016 - «Alle 6 stamane sono uscito a fare una passeggiata. Tanto ero sveglio già da una paio d’ore». Silvano Focardi, l’indomani la sentenza sul buco dell’ateneo, glissa sulla nottata ancora agitata, «dormo sempre poco, è l’età». Certo l’assoluzione piena dovrebbe rasserenare o, almeno, gratificare, anche chi per 8 anni si è ritrovato alla sbarra. Con una notte in mezzo, come legge la sentenza? «Leggo che Focardi non ha minimamente messo mano ai bilanci. Grazie al dibattimento è venuta fuori la chiave di lettura». Quale? «Che c’erano persone che per assicurarsi e mantenere un posto di lavoro di grande pregio e prendersi meriti immeritati, avevano messo in piedi questa farsa». E’ stato lei a scoperchiare il pentolone. «Il 23 settembre 2008 quando la situazione era molto critica feci venire un amico, il dottor Pinto, revisore di società con cui avevo collaborato, che riuscì a far emergere i problemi. Il 29 portai tutte le carte in Procura con il direttore Bigi. Una decisione difficile che al tempo mi fu contestata da qualche istituzione, che riteneva opportuno che queste cose si risolvessero internamente. Portammo invece tutto in Procura, perché la ricerca della verità è più importante di qualsiasi altro risvolto». Dunque tutti assolti perché non avete fatto e non sapevate: ma il buco c’è stato, come bilanci falsi dal 2003 al 2007? «C’è stata la falsificazione dei rendiconti. Da quando ho iniziato il mandato da rettore (aprile 2006) ho approvato due bilanci in rosso, poi il terzo, del 2007, sempre in rosso. Ed è quello per cui secondo l’accusa mi sarei rivolto all’Interi chiedendogli di ridurre il disavanzo di 10 milioni (sempre però in rosso!). Fortunatamente la menzogna è stata smascherata». Invece come era la situazione? «Nel 2008 viene fuori il vero bilancio: 220 milioni di debito e 60 circa di disavanzo».  Soldi che non ha preso nessuno: dove sono finiti? «Si spendeva più di quello che si incassava, nascondendo debiti e gonfiando le entrate. E io, rettore, non potevo rendermene conto: io il bilancio lo presento al Cda con la relazione di accompagnamento della Ragioneria. Per me era veritiero». Nel 2008 si scatena la bufera e lei è rettore fino al 2010: cosa fa? «Da lì parte il risanamento: il piano portato oggi a compimento da Riccaboni è quello approvato nel 2009. Con alcune misure per diminuire il disavanzo, quali il prepensionamento dei docenti, il blocco del turn over dei posti, la riduzione di assegni di ricerca e borse di studio, chiusura dei Poli esterni. Ma il grosso lo fanno la cessione di immobili: il San Niccolò nel 2009 ceduto ad Inpdap per 74 milioni. E nell’aprile 2010 la cessione delle Scotte alla Regione per 108 milioni. E così il bilancio 2010 è risultato con una forte riduzione di debito (18 milioni) e disavanzo (altri 18 milioni). Si è passati da 280 a 40 milioni di debito complessivo». Ma ha venduto patrimonio? «L’università ha una grande quantità di immobili, anche costosi da mantenere, una componente che contribuiva fortemente alle spese. Il prepensionamento poi ha funzionato bene facendo ridurre di più di 30 milioni le spese di personale, anche se ci è costato 300 docenti». Come non ricaderci? «Ora la struttura è sotto controllo, deve essere mantenuta. Confido che l’esperienza passata sia la giusta medicina affinché tutto ciò non accada più».