Tratta di baby calciatori clandestini. «Permessi? Fingiamo sia figlio mio»

E' partita da Prato l'inchiesta sul racket per piazzare minori dall’Africa nelle big di serie A. Tre arresti

Pallone in rete

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Prato, 21 luglio 2017 - Dribbling ubriacante e fiuto per il gol. In molti erano pronti a scommettere su un suo futuro nel calcio che conta. Davilla, classe 2003 della Costa d’Avorio, aveva un solo problema: è orfano e per regolarizzare il suo soggiorno in Italia sarebbe servito tanto tempo. Troppo, quando squadroni come Inter, Lazio o Fiorentina avevano già messo gli occhi su di lui. Così, il suo procuratore Filippo Pacini (finito ai domiciliari), Filippo Giusti (anch’egli ai domiciliari), presidente della Sestese, società dell’hinterland fiorentino specializzata nello sfornare campioncini, e l’ad del Prato Paolo Toccafondi (sottoposto alla misura dell’interdizione dalla sua carica societaria per 4 mesi), in accordo con l’ivoriana Eulalie Stephanie Nety (finita in carcere), si erano inventati la scorciatoia per «investire» sul piccolo fenomeno: farlo passare per un figlio naturale.

L’escamotage non è riuscito (la donna è stata sbugiardata anche dal test del Dna) e per questo e altri episodi di una vera e propria «tratta» di baby calciatori africani (in particolare ivoriani e senegalesi, alcuni dei quali poi approdati a club professionistici, come Christian Kouamé, dal Prato al Cittadella per 400mila euro), la squadra mobile laniera ha eseguito all’alba di ieri mattina quattro misure di custodia cautelare, firmate dal gip Angela Fantechi, per i protagonisti di una vicenda che dai tesseramenti degli stranieri, grazie alle intercettazioni, si è estesa fino alla combine. Alla procura federale della Figc verrà infatti trasmesso quanto «ascoltato» dalle telefonate dei vertici del Prato relativamente allo spareggio salvezza di Lega Pro, che ha permesso ai lanieri di restare in categoria ai danni del Tuttocuoio, e grossi dubbi si addensano pure sui campionati dilettantistici toscani, in particolare quello di Eccellenza, dove la Sestese si salvò ai play-out in un match dall’arbitraggio contestato: per la frode sportiva ci sono più di venti indagati, tra dirigenti, calciatori e perfino l’ex arbitro senese Trefoloni, fino a pochi giorni fa al vertice delle giacchette nere toscane. Ma il nocciolo della questione sono i soldi. «Fa il business dei calciatori, loro li vendono ai club», racconta la «mamy» ivoriana a una connazionale, descrivendo il sistema, messo in piedi triangolando con il proprio consolato a Roma, passaggio necessario per l’ottenimento dei visti.

L’obiettivo è «importare» talenti, farli maturare e poi piazzarli a peso d’oro nei grossi club. Peccato che la legge non permetta l’ingresso di minori se non per periodi temporanei. Se la famiglia d’origine non è in Italia, diventa necessario inventarsi un ricongiungimento familiare, visto che non basta, per esempio, un affidamento per regolarizzare il tesseramento. «L’importante è farlo entrare, poi penseremo al resto», dicevano gli indagati, costantemente in precario equlibrio fra questure e uffici della Figc. A volte si accontentavano di un ok per uno stage di studio o una vacanza. «Se lui è bravo rimane, se non è bravo torna indietro, l’importante è che in Italia non sappiano che loro sono venuti per il calcio» era la «legge» non scritta per ogni nuova speranza con le scarpette. Va detto che il fiuto per i campioni non mancava. Il trasferimento di Davilla in viola è saltato solo per il guaio dei documenti, tanto che la Fiorentina, dopo aver messo a disposizione gli atti dei pm pratesi, si considera parte lesa. Per Kouamè, finito a Cittadella, Giusti conta di incassare benefit su un’eventuale rivendita di 330mila euro. «Eh, ci se li merita, con tutti i soldi che s’è tirati fuori in questi anni».