«Per l'Isis noi siamo i nemici». Messaggio intimidatorio al vice presidente delle Comunità islamiche

Youssef Sbai, massese d'adozione, è in prima fila per il dialogo tra musulmani e cristiani / CHI E' YOUSSEF SBAI / ISIS, PERQUISITA UNA CASA A MASSA

Il vescovo Giovanni Santucci e l'architetto Youssef Sbai

Il vescovo Giovanni Santucci e l'architetto Youssef Sbai

Massa, 25 marzo 2015 - «Niente sarà come prima. Dall’11 settembre c’è una svolta. Quando il terrorismo ha colpito Casablanca e Riad c’è stata una svolta. Con Parigi, Bruxelles e Copenaghen c’è stata una svolta. Questa cultura dell’odio e anche di ignoranza può colpire chiunque. Niente è come prima: dobbiamo stare uniti contro l’ideologia dell’odio». Youssef Sbai, architetto e imprenditore, è vice presidente nazionale dell’Unione delle comunità islamiche. Da 34 anni in Italia, è massese d’adozione: qua vive con la famiglia, è un punto di riferimento per la comunità musulmana e per il dialogo interculturale e interreligioso. Lo abbiamo incontrato ieri, dopo la notizia della perquisizione in città nell’ambito dell’operazione anti terrorismo.

«I musulmani che vivono in Italia e a Massa Carrara, per la loro cultura e le loro esperienze di dialogo, sono una cosa inaccettabile per l’Isis - spiega Sbai -. Siamo più nemici degli occidentali perché possiamo affrontarli culturalmente e religiosamente per spiegare che il loro comportamento non rispetta le regole coraniche». Sbai lo ha sperimentato di persona: «Ero nel gruppo che il 23 febbraio ha partecipato a Roma all’incontro per costituire una nuova consulta sull’Islam. Alla fine della riunione ho ricevuto un messaggio via twitter, da un account chiamato Isis: lo scopo era intimidirmi per l’attività che stiamo svolgendo a livello culturale e di dialogo. La nostra linea non piace all’Isis. In pericolo ci sono non solo gli occidentali ma anche i musulmani che credono nel dialogo, nella pace e nella convivenza. Ho fatto denuncia in questura». Non ha paura? «Ho la sensazione che noi siamo più vulnerabili di altri nella società italiana, perché diamo una alternativa, una risposta a questo odio che loro vogliono diffondere. Non c’è paura, ma preoccupazione sì».

Lei ha un ruolo istituzionale, in qualità di vice presidente dell’Ucoii, ma anche religioso. Quale? «A Massa e a Carrara ci sono due distinte associazioni e due sale di preghiera. Io tengo i sermoni nella sala di Carrara. Non sono un Iman, non saprei che parola usare per definire la mia funzione». 

Chi sono i musulmani che frequentano le sale di preghiera a Massa e a Carrara?  «Sono comunità ben inserite, presenti da tempo: molti sono cittadini italiani, i giovani sono nati e cresciuti in Italia. I più sono di origini marocchine ma ci sono anche altre cittadinanze, soprattutto senegalesi. Il collante? La religione e la lingua italiana». 

Parlate di Isis? «Cerchiamo soprattutto di dare ai giovani gli strumenti per non cadere nella trappola dell’odio e lo facciamo in lingua italiana per i ragazzi nati qua. Per gli adulti il lavoro è su sermoni sul Corano per tagliare la strada a chi vuole strumentalizzarlo per motivare la propria violenza».

Molti italiani poco sanno dell’Islam: incontra comportamenti razzisti? «Quelli con cui siamo in contatto ci conoscono e sanno fare la differenza tra i musulmani e il terrorismo. Altri cadono nella trappola dell’Isis che vuole che gli occidentali non credano al dialogo e alla convivenza».

Ci sono sul nostro territorio musulmani che subiscono il richiamo dell’Isis? «No, non tra quelli che frequentano le sale di preghiera. Preoccupa di più chi non frequenta, chi è isolato. Le persone che hanno agito a Parigi e a Copenaghen non erano frequentatori di moschee. Da noi non vedo simpatie per l’Isis ma il contrario».

L’Isis si spiega con il fanatismo religioso? «Ci sono tanti parametri: ignoranza, interessi geopolitici, strumentalizzazione della religione, crisi culturale e di identità. Ma la percentuale di musulmani violenti è minima: su 1,6 miliardi, in Medio Oriente stanno combattendo alcune migliaia».

Cos’è lo Stato islamico? «Non esiste nell’Islam una forma politica, un forma dello stato. Stato e religione sono sfere separate, il legame è l’etica ma c’è differenza tra il fare politica e il fare religione. Questo alcuni musulmani fanno fatica a capirlo. Ma non c’è fondamento nel Corano per definire uno Stato islamico, l’Islam non è Stato». 

Come sta reagendo l’occidente all’Isis? «Stanno facendo tanto. Quello che manca è la risposta culturale. Servono laboratori dove cristiani, musulmani, credenti e non credenti si conoscano».

Che altro serve contro l'Isis? «Per bloccare la cultura dell’odio non dobbiamo limitarci ai luoghi di culto ma usare gli stessi strumenti dei terroristi: internet. Purtroppo la comunità musulmana non è preparata per fare un lavoro via internet. Penso a siti mirati su giovani che possono essere vittime della crisi, culturale, di identità ed economica, e possono intraprendere la strada sbagliata. Il lavoro va fatto su quelli: dall’informazione ai gruppi di discussione, per risolvere le perplessità e dare risposte alle domande».