Carrara, frana in cava: trovato un corpo

Lo zio in cerca del nipote: "Tiratelo fuori o vado io". Poi le lacrime. Le testimonianze

La frana nella cava a Carrara (Foto Delia)

La frana nella cava a Carrara (Foto Delia)

Carrara, 15 aprile 2016 - Sono andate avanti tutta la notte le ricerche dei vigili del fuoco per trovare sotto le macerie i due operai dispersi dopo il crollo del costone della cava di marmo avvenuto ieri a Carrara. Stamani poco prima delle 6 è stato ritrovato verso le 6 il corpo senza vita di un cavatore rimasto sepolto  Lo hanno reso noto i vigili del fuoco che continuano a cercare il corpo di un collega.

 

I TESTIMONI -  «ABBIAMO visto il monte venire giù». Sono sotto choc i cavatori di Gioia. Impietriti, irriconoscibili: coloro che, nell’immaginario locale sono dei veri uomini, gli ultimi ‘gladiatori’ della montagna, ieri hanno mostrato tutta la loro umanità, la loro paura. Non si sarebbero mai aspettati che due di loro, due compagni, due amici, grandi esperti della lavorazione del marmo, finissero sotto tonnellate di pietra, marmo e terra. Una notizia che ha squarciato la tranquillità della città. Il bianco delle montagne è tornato a sporcarsi di rosso sangue. «Non ci posso credere – racconta uno di loro – come può succedere una cosa del genere? Sono ancora sconvolto da quello che è avvenuto. Lasciatemi stare, non me la sento di dire altro, sono troppo colpito da quello che è accaduto».

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Alle 13,48 il bacino di Gioia si paralizza per un costone di 30 metri che si stacca dal monte. La cava di Cesare Antonioli, la 171, è sepolta da una valanga di sassi di marmo bianco. Sotto, due operai, Federico Benedetti e Roberto Ricci Antonioli. Al monte, a poche centinaia di metri dal nipote, lo zio di Benedetti, Luigi, inconsolabile. Un anziano distrutto da una tragedia colossale. Poco dopo che il monte è crollato, portandosi dietro i due cavatori, lo zio arriva, in cerca del nipote. «Cosa aspettate a intervenire? Ci vado io se non vi muovete – grida ai soccorritori –. Non me ne importa nulla se non è in sicurezza il posto, fatemi andare a prendere mio nipote, non ce la faccio più ad aspettare. Non lo sentite che squilla il cellulare? Se non vi date una mossa mi prendo io la responsabilità e lo tiro fuori da solo».

ORMAI rassegnato sprigiona tutta la sua rabbia, mista a un dolore indescrivibile. Le lacrime agli occhi del povero zio ormai sono finite. «Perché non siete intervenuti subito? Se c’era una possibilità di salvarlo... Adesso non possiamo fare più niente». Cercano di consolarlo gli altri cavatori, ma sembra che il suo cuore sia ormai finito là sotto, tra le macerie. Guarda la montagna tenendosi la testa tra le mani. Ogni tanto si toglie gli occhiali per asciugarsi un’altra lacrima che gli scende dal viso. «Li conoscevo bene entrambi – racconta un altro – uno ha anche un figlio, Matteo Benedetti che lavora qui, è andato via in mattinata perché aveva una visita. Meno male che non era presente quando è successa la tragedia. Speranze? Io ci credo ancora, anche se tutto gioca contro di loro. Uno di questi, Roberto, è messo bene fisicamente, anche l’altro, Federico è forte, spero ancora che possano essere vivi» conclude un cavatore mentre si avvicina allo zio, nel tentativo vano di consolarlo. «Ormai è una vera e propria tragedia – conclude un collega – noi purtroppo siamo pronti ogni mattina a fare i conti con questo incubo. Ogni giorno potrebbe essere l’ultimo, siamo consapevoli che lavorare al monte sia una cosa rischiosa, ma ogni volta che succede è un vero e proprio choc».